Dall’inizio di Ottobre, su Midland, una delle capitali del petrolio situata nella zona ovest del Texas, sono caduti meno di 25 mm di acqua. Due dei tre bacini di acqua su cui Midland e le altre città della zona fanno affidamento sono quasi vuoti. Il terzo è al 30% della sua capacità.
Esiste una lotta in corso tra risorse non rinnovabili e risorse rinnovabili, tra interessi ormai forti e nuovi programmi energetici, tra il benessere di pochi e la sopravvivenza di molti. Il terreno dello scontro è davanti ai nostri occhi tutti i giorni ed evidenzia come la leva che fa muovere le truppe da una parte all’altra del pianeta sia indubitabilmente, ancora, il petrolio. Eppure ci sono zone del pianeta che stanno per entrare in uno stato di crisi non per la mancanza di petrolio – il paradosso vuole che lì dove questo accade, di petrolio ce ne sia moltissimo – bensì per la mancanza di acqua.
Dall’inizio di Ottobre, su Midland, una delle capitali del petrolio situata nella zona ovest del Texas, sono caduti meno di 25 mm di acqua. Due dei tre bacini di acqua su cui Midland e le altre città della zona fanno affidamento sono quasi vuoti. Il terzo è al 30% della sua capacità.
È un articolo pubblicato sul New York Times a raccontare la storia di questa città simbolo dell’opulenza repubblicana americana e ora costretta a confrontarsi con le conseguenze della sua stessa ricchezza. A partire dal mese di aprile, gli amministratori locali sono stati costretti a prendere una serie di provvedimenti restrittivi per limitare l’uso dell’acqua nelle famiglie: niente più innaffiamenti quotidiani dei prati domestici e tantomeno dei campi da gioco locali.
“In assenza di importanti manifestazioni piovose i tre bacini di riserva della zona saranno secchi entro il 2013” dice John Grant, general manager della Colorado River Municipal Water District. Uno dei possibili anche se parziali rimedi è pompare acqua dalle falde sotterranee, ma per mettere a disposizione un impianto adeguato alle richieste locali servirebbero tra i 75 e i 100 milioni di dollari.
Le acque delle falde non sono a loro volta sicure. Contengono arsenico, fluoro e cloro in quantità superiori alla media con rischi per la popolazione. Tutt’ora, da quelle parti non è possibile bere acqua dai rubinetti senza un sistema di filtraggio. L’eventuale impianto di pompaggio dell’acqua dovrebbe essere associato dunque a un sistema di depurazione altrettanto costoso.
Alla necessità di desalinizzazione dell’acqua, si aggiunge che gli stessi impianti di petrolio necessitano acqua che spesso prelevano dalle stesse falde che dovrebbero essere destinate alle persone.
Eppure si sta parlando di una delle zone più ricche degli Stati Uniti. SUV e case unifamiliari, giardini e campi da football. La parte dell’America che maggiormente vive sui fasti dei propri giacimenti oggi si trova a dover scegliere tra il continuare a investire in una risorsa comunque destinata a terminare oppure garantire la vita a sé e ai propri posteri investendo sulla raccolta dell’acqua.
La risposta iniziale è stata chiara. A fronte della richiesta di fare minor uso di acqua, la popolazione di Midland ha reagito consumando la più alta quantità di acqua degli ultimi cinque anni. Del resto nessuno ha comunicato come stanno realmente le cose.
L’amministrazione locale sta tentando anche altre strade tra cui la possibilità di vendere le acque sporche al fine di riciclarle. Ciò che preoccupa quotidianamente le autorità è che la scarsità di acqua minaccia la dipartita di molte realtà industriali che di fronte a queste difficoltà rinuncia a produrre in zona per spostarsi in aree meno problematiche.
Guy Andrews, direttore del dipartimento di sviluppo della Camera Di Commercio locale sintetizza così la paura che serpeggia: “Se non hai acqua a disposizione non puoi attrarre le industrie”.
Il caso americano ci consegna delle risposte in merito agli interessi che stanno dietro le richieste di privatizzazione dell’acqua, che nessuna retorica avrebbe potuto rendere meglio.