Il nuovo rapporto “Le città italiane alla sfida del clima” di Legambiente parla chiaro: il clima che cambia aumenta i rischi sanitari legati alle ondate di calore, accresce l’impatto degli eventi atmosferici estremi e incide sui livelli di smog in città
Le nostre città non sono immuni dai cambiamenti climatici. Tra alluvioni, frane e allagamenti di ogni sorta, in Italia non si dormono sonni tranquilli. Il nuovo “Le città italiane alla sfida del clima”, realizzato da Legambiente in collaborazione con il ministero dell’Ambiente, parla chiaro: il clima che cambia aumenta i rischi sanitari legati alle ondate di calore, accresce l’impatto degli eventi atmosferici estremi e incide sui livelli di smog in città.
E sono proprio le aree urbane il “cuore” della sfida climatica di tutto il mondo perché è qui che si produce la quota più rilevante di emissioni ed è qui che, come si evince dal dossier, l’intensità e la frequenza di fenomeni meteorologici estremi determina un aumento incommensurabile dei danni.
Secondo gli esperti dell’IPCC, infatti, saranno proprio le aree urbane a pagare i costi sociali maggiori del global warming in particolare nell’area del Mediterraneo.
In Italia sono ben 101 i Comuni dove, dal 2010, si sono registrati impatti rilevanti legati a fenomeni atmosferici estremi, con 204 eventi tra allagamenti, frane, esondazioni e con importanti danni alle infrastrutture o al patrimonio storico. Secondo i dati del Cnr, dal 2010 al 2015, le sole inondazioni hanno provocato in Italia la morte di 140 persone e l’evacuazione di oltre 32mila cittadini. Negli ultimi 5 anni, per 91 i giorni le metropolitane e i treni urbani hanno subito uno stop nelle principali città italiane; 43, invece, sono stati i giorni di blackout elettrici dovuti sempre al maltempo. Questi sono gli impatti più “visibili”, ma non dimentichiamoci degli impatti sanitari provocati dalle ondate di calore, con l’aggravamento delle condizioni di salute soprattutto degli anziani che vivono in ambiente urbano.
“I cambiamenti climatici stanno determinando impatti sempre più evidenti nelle nostre città, con rischi per le persone e le infrastrutture resi ancor più drammatici dal dissesto idrogeologico, da scelte urbanistiche sbagliate e dall’abusivismo edilizio – ha dichiarato la presidente nazionale di Legambiente Rossella Muroni -. Serve un cambio di passo nelle politiche, con piani di intervento e risorse per l’adattamento al clima, come ci chiede anche l’Unione Europea, ma urge anche un cambio radicale delle scelte urbanistiche da parte dei Comuni, per mettere in sicurezza le aree più a rischio attraverso interventi innovativi, fermando il consumo di suolo e riqualificando gli spazi urbani, le aree verdi e gli edifici per aumentare la resilienza nei confronti di piogge e ondate di calore. Senza dimenticare che, come sta avvenendo in questi giorni, la mancanza di piogge legata ai mutamenti climatici incide sulle concentrazioni di inquinanti e smog nelle nostre città”.
Ecco allora perché l’adattamento al clima delle nostre città deve diventare una priorità nazionale assoluta:
1. L’81,2% dei comuni è in aree a rischio di dissesto idrogeologico, con quasi 6 milioni di persone che vivono in zone a forte rischio idrogeologico. Tra il 1944 ed il 2012 sono stati spesi 61,5 i miliardi di euro solo per i danni provocati dagli eventi estremi nel territorio italiano. Secondo i dati di “Italia sicura”, l’Italia è tra i primi paesi al mondo per risarcimenti e riparazioni di danni da eventi di dissesto: circa 3.5 miliardi all’anno dal 1945 in poi. Dal 1950 ad oggi abbiamo contato 5.459 vittime in oltre 4.000 eventi tra frane e alluvioni. Quello di cui c’è bisogno, allora, è un sistema di risposta più efficace, in base alle caratteristiche dei diversi territori, a volte condizionati da fenomeni di dissesto idrogeologico, altre dalle conseguenze di una gestione scellerata del consumo di suolo, dell’edilizia o della rete di smaltimento delle acque.
2. Impatti sanitari causati dalla maggiore frequenza e intensità delle ondate di calore. Gli studi realizzati dal Dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario nazionale della Regione Lazio, nell’ambito del “Piano operativo nazionale per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute”, evidenziano che durante l’estate 2015, le temperature superiori alle medie nel periodo di luglio nelle città del Nord e del centro (fino a 4°C superiori ai valori di riferimento con picchi che hanno raggiunto i 41°C), associate ad elevati tassi di umidità hanno aumentato il disagio termico della popolazione. L’effetto è stato un aumento della mortalità giornaliera nella popolazione con età superiore ai 65 anni nel mese di luglio 2015, con incrementi compresi tra +15% e +55%.
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LA RICETTA DI LEGAMBIENTE – Come fare allora per ridurre rischi e impatti di fenomeni meteorologici estremi? Per Legambiente una politica idonea deve prevedere l’elaborazione di Piani Clima delle città, cioè di uno strumento che individui le aree a maggiore rischio ed elabori progetti di adattamento dei fiumi, delle infrastrutture, dei quartieri, in modo da rafforzare la sicurezza dei cittadini anche in collaborazione con la Protezione civile. Il Ministero dell’Ambiente, inoltre, dovrebbe svolgere un ruolo di indirizzo e di coordinamento rispetto all’azione dei Comuni: di indirizzo, attraverso l’elaborazione di linee guida per i Piani in modo da semplificare il percorso di elaborazione e approvazione; di coordinamento, perché le azioni previste dai Comuni possano confluire nella strategia nazionale, così da poter individuare gli interventi prioritari da realizzare attraverso cofinanziamenti nazionali, regionali e comunitari.
Occorre, poi, predisporre monitoraggi degli impatti sanitari dei cambiamenti climatici ponendo attenzione alle aree urbane per capire le relazioni tra fenomeni climatici (come le ondate di calore e le piogge violente) e la salute delle persone.
Il dossier di Legambiente riporta le informazioni raccolte nella mappa interattiva relative ai danni provocati in Italia dai fenomeni climatici dal 2010 ad oggi, con particolare attenzione alle città. Nella mappatura, ad ogni episodio sono associate informazioni che riguardano sia i danni che gli episodi precedenti avvenuti nello stesso comune, per contribuire a chiarire i caratteri e l’entità degli impatti provocati, individuare le aree a maggior rischio, registrare dove e come i fenomeni si ripetono con maggiore frequenza.
Insomma, servono nuove strategie e non basta più deviare fiumi o alzare argini. E magari porre lo sguardo anche verso esempi concreti di adattamento di città come Copenaghen o Anversa (ma anche Bologna), che dimostrano come sia possibile realizzare progetti capaci di dare risposta ai rischi climatici in una prospettiva di miglioramento della vita nelle città, restituendo in primis spazi alla natura e alla fruizione dei cittadini e creando quartieri vivibili e belli.
Germana Carillo
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