I 7.000 metri cubi di combustibile nucleare esaurito prodotti ogni anno dalle 143 centrali sparse per l'Europa devono essere smaltiti in qualche modo. E su questo siamo tutti d'accordo. Il come e il dove smaltirli, tuttavia, divide opinione pubblica, ambientalisti, politici e amministratori. Ad avere l'ultima parola sarà forse l'Unione Europea, la cui Agenzia internazionale per l'energia atomica ha fatto sentire in questi giorni la sua voce, proponendo di stoccare i rifiuti radioattivi in appositi siti a “grande profondità”. Detto in altri termini: seppellirli sotto terra.
I 7.000 metri cubi di combustibile nucleare esaurito prodotti ogni anno dalle 143 centrali sparse per l’Europa devono essere smaltiti in qualche modo. E su questo siamo tutti d’accordo. Il come e il dove smaltirli, tuttavia, divide opinione pubblica, ambientalisti, politici e amministratori. Ad avere l’ultima parola sarà forse l’Unione Europea, la cui Agenzia internazionale per l’energia atomica ha fatto sentire in questi giorni la sua voce, proponendo di stoccare i rifiuti radioattivi in appositi siti a “grande profondità”. Detto in altri termini: seppellirli sotto terra.
“Visto che i rifiuti radioattivi restano pericolosi anche per un milione di anni, la soluzione a lungo termine più sicura è lo stoccaggio in profondità, che riduce i rischi connessi a incidenti, incendi o terremoti“. Parole che si possono leggere nel sito web dell’Unione Europea, alla pagina “Energia e risorse naturali”. Il problema, si legge nel comunicato, è che attualmente il combustibile nucleare esaurito è conservato in depositi vicini alla superficie, dunque non proprio sicuri. Per rendere effettiva la soluzione “sepoltura a lungo termine”, invece, andrebbe promulgata una legislazione UE sulla sicurezza, le cui norme si applicherebbero anche ai rifiuti radioattivi prodotti nell’ambito della medicina, dell’industria e della ricerca. Ma siamo sicuri sia una buona idea?
Visto che l’Italia ha appena riaperto la strada all’energia nucleare, è meglio cercare di rispondere a questa domanda. Basterebbe un esempio su tutti per tagliare la testa al toro: si chiama Asse, ed è un’ex miniera di salgemma in Bassa Sassonia dove tra il ’67 e il ’79 sono stati stoccati 126.000 fusti di materiali radiottivi – il 90% da centrali nucleari. Qui, nel 2008, l’acqua infiltrata dalle pareti della miniera è stata dichiarata radioattiva, e dalla fine di quest’anno dovrebbe cominciare la rimozione dei fusti. Era, in teoria, un sito considerato “sicuro” per secoli, se non millenni.
Ma anche se l’incidente non fosse mai avvenuto, trovare siti di stoccaggio idonei resta un’impresa: il deposito di Youcca Mountains, negli Stati Uniti, ad esempio, è stato valutato – dopo 15 anni di ricerche – come luogo sicuro, sì, ma per non più di 500 anni. E i tempi di dimezzamento della radioattività degli elementi nucleari, come tutti sanno, si contano in millenni. Ad oggi, l’unico luogo al mondo considerato all’unanimità sicuro (o forse “il più sicuro”) si trova nel sottosuolo di Östhammar, cittadina svedese che si è incaricata dello sporco lavoro dopo sette anni di ballottaggio con l’altra cittadina in carica: Oskarshamn.
Ve lo immaginate un appalto simile affidato a Siena e Firenze? O a Padova e Cittadella? Altro che derby… in Italia, per la cronaca, ancora non sappiamo dove stoccare le scorie del pre-referendum. È realizzabile una soluzione come quella proposta dall’Unione Europea? Ad ogni italiano la risposta. Di certo, due o tre punti positivi ci sono: l’UE vorrebbe infatti istituire un’autorità indipendente per rilasciare le licenze per la costruzione e la gestione degli eventuali siti di stoccaggio e per verificarne la sicurezza. Due o più paesi UE, inoltre, potranno concordare di gestire depositi comuni, mentre sarà vietato esportare rifiuti nucleari al di fuori dell’UE.
L’opinione pubblica, infine, dovrà essere informata e consultata sui progetti di costruzione di depositi di rifiuti radioattivi. E qui viene da chiedersi: come a Terzigno?
Roberto Zambon