la Sogin, società controllata dal Tesoro per la gestione degli impianti nucleari, ha individuato 52 zone del nostro Paese che avrebbero le caratteristiche giuste per ospitare i rifiuti derivanti dalle centrali nucleari. Ma il Governo le tiene chiuse in cassaforte
Il governo italiano – per voce del Ministro dell’Ambiente – parla sempre più spesso dell’, ma poi glissa elegantemente sui luoghi in cui potrebbero andare a finire le scorie radioattive, che nessuno si sognerebbe di ospitare vicino alla propria abitazione. Intanto però, la Sogin, società controllata dal Tesoro per la gestione degli impianti nucleari, ha individuato 52 zone del nostro Paese che avrebbero le caratteristiche giuste per ospitare i rifiuti derivanti dalle centrali nucleari.
Ognuno di questi siti misura circa 300 ettari, deve poter accogliere scorie di vario tipo e anche il parco tecnologico che – una volta partito a pieno ritmo – avrà oltre mille ricercatori.
Ma quali sono queste zone?
Si parla innanzi tutto del Viterbese, della Maremma, della zona di confine tra Puglia e Basilicata, le colline emiliane e alcune aree del Piacentino e del Monferrato.
Il governo tiene comunque a sottolineare che la scelta della zona non sarà imposta dall’alto, ma avverrà secondo un preciso accordo con le Regioni, con una specie di asta in base alla quale la comunità che accetterà di farsi carico e ospitare i depositi radioattivi sarà compensata con forti incentivi economici.
Intanto però la lista completa dei luoghi designati è finita in una cassaforte, in attesa che venga creata l’Agenzia per la sicurezza del nucleare, che in realtà doveva essere già pronta.
I ritardi infatti sono già all’ordine del giorno e se prima si parlava di iniziare i lavori di costruzione nel 2013, oggi si parla del 2014 (possiamo solo immaginare quanto ci costeranno alla fine tutti questi ritardi, visto che negli altri Paesi d’Europa ogni anno di ritardo nel settore nucleare costa ai cittadini più di un milione di euro l’anno).
“Il rischio drammatico che si corre è quello del gioco dell’oca, dove si torna sempre indietro di una casella” – ha detto lo stesso direttore per lo sviluppo sostenibile del ministero dell’Ambiente, Corrado Clini, in occasione di un seminario organizzato durante il meeting romano di esperti e tecnici del settore nucleare italo-francese.
“I motivi che portarono nel 2003 il Governo Berlusconi a fare dietro front rispetto alla scelta di Scanzano Jonico come sito di smaltimento, senza condivisione con il territorio e nelle segrete stanze dei palazzi governativi a Roma, non hanno insegnato nulla al Governo Berlusconi. Sembra quindi che il lupo perda il pelo ma non il vizio”.
Così Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente, ha commentato la scelta di non rendere nota la lista dei siti di smaltimento delle scorie che l’esecutivo avrebbe chiesto di redigere alla Sogin.
“Anche in questa occasione – aggiunge Ciafani – l’iter che sta seguendo il Governo lascia presagire scenari alla Scanzano Jonico. La realizzazione di qualsiasi impianto, a partire da quelli più impattanti come è il deposito per i rifiuti radioattivi, non può prescindere da un confronto trasparente con gli enti locali, i soggetti economici e i cittadini. Si tratta di una scelta, infatti, che ipotecherà il futuro di quelle zone per centinaia o piuttosto migliaia di anni e che è indispensabile fare nel modo più democratico e trasparente possibile, senza logiche militari. Staremo a vedere infine – conclude Ciafani – se anche in caso di elezioni anticipate il Governo sul nucleare manterrà la linea decisionista o ripeterà l’imbarazzante pantomima vista durante l’ultima campagna elettorale per le regionali quando l’atomo scomparve dal dibattito politico per evitare l’inevitabile dissenso degli elettori”.
Verdiana Amorosi