Forse non tutti sanno che, secondo gli scienziati, esiste un terzo polo. Si tratta di un altopiano che si trova in Tibet e, ovviamente, anche questa zona sta risentendo pesantemente dei cambiamenti climatici.
Forse non tutti sanno che, secondo gli scienziati, esiste un terzo polo. Si tratta di un altopiano che si trova in Tibet e, ovviamente, anche questa zona sta risentendo pesantemente dei cambiamenti climatici.
Il Khawa Karpo è la montagna più alta della catena montuosa del Meili che raggiunge i 6.740 metri. Le comunità tibetane locali considerano un sacrilegio salire su questa vetta ma, nonostante ciò, ci sono stati diversi tentativi (tutti falliti) di scalarla. Poi, dopo una serie di petizioni locali, una legge ha vietato l’alpinismo in quei luoghi. Il pericolo però esiste lo stesso e, come sempre, viene dall’uomo.
L’altopiano tibetano, infatti, è sede di una vasta calotta di ghiaccio considerata dagli scienziati il terzo polo della terra perché contiene la maggior quantità di neve e ghiaccio dopo l’Artico e l’Antartico (circa il 15% del totale globale). Il problema è che ora si sta sciogliendo a causa dei cambiamenti climatici.
Uno dei motivi della rapida perdita di ghiaccio è che questo altopiano, come gli altri due poli, si sta riscaldando a una velocità fino a tre volte superiore alla media globale, di 0,3 ° C per decennio.
Un quarto del suo ghiaccio è stato perso a partire dal 1970. Questo mese, in un atteso rapporto speciale sulla criosfera opera del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), gli scienziati avvertiranno che i ghiacciai sono sulla buona strada per scomparire entro la fine del secolo. Si prevede che un terzo del ghiaccio andrà perso anche se viene rispettato l’obiettivo concordato a livello internazionale di limitare il riscaldamento globale di 1,5° C.
Anche se le temperature globali verranno contenute, dunque, la regione subirà un aumento di più di 2° C e, se le emissioni non saranno ridotte, l’aumento arriverà a +5 ° C, secondo quanto riporta un rapporto pubblicato all’inizio di quest’anno da oltre 200 scienziati del Centro internazionale per lo sviluppo montano integrato (ICIMOD) con sede a Kathmandu.
Oltre alle emissioni di CO2, a generare questa situazione c’è anche il fatto che, sulla superficie del ghiacciaio Mingyong, vi è carbonio nero. Questo ha molteplici conseguenze climatiche dannose tra cui l’azione negativa sui monsoni e l’accelerazione dello scioglimento del ghiaccio.
L’inquinamento atmosferico della pianura indo-gangetiche, una delle regioni più inquinate del mondo, deposita questa polvere nera sui ghiacciai, oscurandone la superficie e accelerando lo scioglimento.
Joseph Shea, un glaciologo dell’University of Northern British Columbia, definisce la perdita “deprimente e che induce alla paura. Cambia la natura delle montagne in un modo molto visibile e profondo”
La situazione è davvero drammatica ma, le condizioni in rapida evoluzione al terzo polo, non hanno ricevuto la stessa attenzione di quelle dei poli nord e sud. C’è anche una carenza di ricerche rispetto agli altri poli e i dati idrologici esistenti sono gelosamente custoditi dal governo indiano.
Vi è poi il problema che l’altopiano tibetano è un luogo vasto e poco pratico in cui lavorare e dunque le misurazioni sono più difficili da ottenere. Agli scienziati viene impedito, dalla popolazione locale, di raggiungere il ghiacciaio Mingyong, il che significa che hanno dovuto usare fotografie ripetute per misurare la ritirata del ghiaccio.
Di fronte a questi problemi, i satelliti si sono rivelati preziosi, consentendo agli scienziati di osservare il restringimento glaciale in tempo reale.
Quest’estate, i ricercatori della Columbia University hanno anche usato immagini spia-satellitari della guerra fredda per dimostrare che la perdita di ghiaccio del terzo polo è accelerata nel corso di questo secolo. E, secondo gli studi, i ghiacciai nella regione stanno attualmente perdendo circa mezzo metro verticale di ghiaccio all’anno a causa del riscaldamento globale antropogenico.
Lo scioglimento dei ghiacci in questa zona è particolarmente pericoloso, molto più che nell’Artico e nell’Antartico scarsamente popolati. Si vengono a creare infatti alluvioni, frane e interi villaggi vengono spazzati via da eventi sempre più frequenti nonostante i sistemi di monitoraggio e salvataggio siano migliorati.
Ancora una volta, il futuro di questa zona del mondo e la vita di un miliardo di persone a valle e in tutta l’Asia, dipende strettamente dalle nostre scelte in fatto di riduzione di emissioni e inquinanti.
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Francesca Biagioli