L’allarme lanciato al G7 Salute di Milano: i cambiamenti affliggono soprattutto i Paesi poveri – più soggetti all’effetto di tifoni, siccità e alluvioni – e possono causare anche grandi crisi sanitarie in tutto il mondo.
Un miliardo di rifugiati climatici entro il 2050: che lo si voglia o no, sarà questa la situazione tra poco più di 30 anni se non si fa qualcosa. È questo l’allarme lanciato al G7 Salute di Milano, dove è chiara una cosa: i cambiamenti affliggono soprattutto i Paesi poveri – più soggetti all’effetto di tifoni, siccità e alluvioni – e possono causare anche grandi crisi sanitarie in tutto il mondo.
Per questo motivo, d’altronde, la relazione annuale Countdown del Lancet invita i governi ad agire rapidamente per combattere l’inquinamento e tutti gli altri fattori che non hanno fatto altro che peggiorare il cambiamento climatico, portando intere popolazioni a spostarsi e creando anche problemi di salute pubblica.
A parte tutti gli effetti economici e sociali, lo studio sottolinea infatti che ci saranno anche effetti sulla salute globale: ne sono un esempio le ondate di calore, come l’inquinamento dell’aria, la diffusione di malattie finora presenti solo nelle aree tropicali, come Chikungunya, febbri Westnile, Dengue, malaria e Zika.
Secondo i dati di Oxfam International le modifiche del clima globale esacerbano i rischi collegati e ampliano il rischio di disastri climatici estremi. L’aumento delle temperature dell’aria e dell’acqua porta a un aumento dei livelli del mare, tempeste ed eccezionali raffiche di vento, oltre a siccità più intense e prolungate e a precipitazioni più pesanti e ad allagamenti. Attualmente ci sono:
- una media di 400 “eventi meteorologici estremi” ogni anno
- dal giugno 2017, circa 41 milioni di persone state colpite da inondazioni
- più di 150 milioni di persone vivono in luoghi che saranno sotto il livello del mare o sotto i normali livelli di inondazione entro la fine del secolo
- le crescenti tempeste e gli tsunami minacciano quasi un quarto della popolazione mondiale
E non solo: secondo un altro rapporto Oxfam da gennaio a settembre 2017 sono 15 milioni le persone che hanno dovuto abbandonare le loro case per scampare a un evento meteo estremo: di questi, in 14 milioni provenivano da Paesi a basso reddito. Tra il 2008 e il 2016, in media, i rifugiati climatici sono stati 21,8 milioni l’anno.
I Paesi più colpiti sono il Bangladesh, l’India e il Nepal, che lo scorso agosto hanno subìto rovinose inondazioni, che hanno colpito 43 milioni di persone e prodotto oltre 1200 vittime. Ma anche le piccole isole del Pacifico, con i cicloni Pape e Winston del 2015, che nelle Isole Fiji hanno fatto andar via 55 mila persone e ridotto del 20% il prodotto interno lordo nazionale.
Il punto dunque è chiaro: mentre pensiamo di avere il “problema dei migranti”, la questione è ben più seria e ci riguarda da vicino più di quanto si pensi.
“Il cambiamento di frequenza degli eventi estremi come ondate di calore, precipitazioni eccezionali e siccità ha effetti diretti sulla salute di esseri umani e sugli animali. Picchi di mortalità sono stati registrati nelle fasce della popolazione più fragili e vulnerabili. Gli impatti sull’ambiente hanno effetti indiretti sulla salute umana e degli animali, anche alterando le condizioni di vita e lavoro. In tale contesto, la presidenza italiana del G7 ha scelto di puntare l’attenzione dei governi sulle strategie globali per affrontare i rischi connessi ai cambiamenti climatici e individuare azioni di adattamento e mitigazione”, si legge nel comunicato del nostro Ministero della Salute.
Quante volte abbiamo sentito parlare di “strategie globali per affrontare i rischi connessi ai cambiamenti climatici” e pare che non se ne cavi un ragno dal buco?
Ci sono alternative a questo futuro di eventi estremi e masse di rifugiati climatici? Sì eppure sembra così difficile! Economia sostenibile e decarbonizzazione, misure di adattamento e mitigazione nei paesi più poveri, sistema di protezione legale dei rifugiati climatici.
Proprio di questo si parlerà alla prossima Cop 23 di Bonn, in Germania, la Conferenza sul clima in cui i negoziatori di 195 paesi più l’Unione Europea sono chiamati a valutare soluzioni alle emissioni di gas serra. Dopo l’Accordo di Parigi, entrato in vigore il 4 novembre 2016, i leader globali sono chiamati ancora una volta a trovare un metodo comune per implementare realmente l’Accordo di Parigi.
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Germana Carillo