Due mesi di tempo per rispondere all'accusa della Commissione europea di non aver rispettato le norme fondamentali di sicurezza in materia di rifiuti radioattivi. Il programma nazionale attuato dal nostro Paese non è del tutto conforme al quadro comunitario
L’Italia è al secondo step della procedura formale d’infrazione dell’UE, dopo che lo scorso fine settimana il nostro Paese ha ricevuto un parere motivato dalla Commissione europea. Sono i depositi di scorie nucleari e le misure attuate finora dall’Italia a essere ritenute non pienamente a norma dal diritto comunitario.
A seguito del disastro di Fukushima, l’Unione Europea aveva infatti rafforzato con la Direttiva 2013/59/Euratom del Consiglio le norme di sicurezza fondamentali sul nucleare per proteggere la popolazione dall’esposizione alle radiazioni e scongiurare altre catastrofi.
Delimitare le zone con rischio radiologico, sorvegliare e valutare le esposizioni alle radiazioni nei luoghi di lavoro, controllare gli scarichi radioattivi gassosi e liquidi nell’ambiente. Questi alcuni dei punti della Direttiva che tutti gli Stati membri erano tenuti a recepire entro il 6 febbraio 2018, ma l’Italia non l’ha fatto del tutto.
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A tre anni di distanza da tale scadenza, la Corte dell’Unione europea aveva perciò chiesto all’Italia di mostrare le misure prese in materia di radioprotezione, ma queste non sembrano sufficienti per far fronte alle carenze evidenziate dalla Commissione.
Anche l’ambito della gestione dei rifiuti radioattivi è sotto inchiesta in Italia così come in Portogallo, Estonia, Croazia e Slovenia. I programmi nazionali attuati da tali Stati non sono interamente in linea con la direttiva in materia di combustibile nucleare esaurito e rifiuti radioattivi.
La direttiva impone agli Stati membri di elaborare e attuare programmi nazionali per la gestione di tutto il combustibile nucleare esaurito e tutti i rifiuti radioattivi che hanno origine nel loro territorio, dalla produzione allo smaltimento. I programmi nazionali presentati da Croazia, Estonia, Italia, Portogallo e Slovenia sono risultati non conformi a determinati requisiti della direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio,
si legge nella nota comunitaria.
Due mesi è il tempo che l’UE ha concesso ora al nostro Paese per rispondere all’accusa prima che si passi alla tappa successiva. La Commissione potrebbe decidere di deferire i casi alla Corte di giustizia con l’imposizione di sanzioni pecuniarie per la nostra nazione.
Fonte: UE
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