Scorie nucleari, nessuno le vuole. Tranne questi 2 villaggi di pescatori in Giappone…

Le due cittadine di Suttsu e Kamoenai stanno letteralmente facendo a gara per ospitare i rifiuti nucleari prodotti dal Giappone

Da quando sono stati annunciati i 67 siti idonei a ospitare i rifiuti radioattivi italiani, si è scatenata una vera e propria corsa alle osservazioni. Nessuno li vuole, almeno qui da noi. Troppo pericolosi, scomodi, temuti. Ma due villaggi giapponesi sono ben disposti ad accaparrarsi i rifiuti radioattivi delle centrali nucleari giapponesi.

Siamo a Hokkaido, una delle isole del Giappone. Qui, le due cittadine di Suttsu e Kamoenai stanno letteralmente facendo a gara per ospitare i rifiuti nucleari. Questi due villaggi di pescatori sono in lizza per ospitare l’ultimo impianto di stoccaggio di scorie nucleari giapponesi, dividendo le comunità tra coloro che cercano investimenti per fermare la loro morte, dovuta alla crisi economica, e coloro che ricordano fin troppo bene il disastro di Fukushima del 2011, e che hanno paura del nucleare.

La salvezza economica contro i rischi per la salute

In mezzo troviamo un governo che ha scommesso molto sull’energia nucleare per alimentare la sua ascesa industriale e ora deve affrontare un enorme e crescente ammasso di scorie radioattive, senza un posto dove smaltirle. Da quando ha iniziato a generare energia atomica nel 1966, il Giappone ha prodotto più di 19.000 tonnellate di scorie nucleari ad alto livello che si trovano in depositi temporanei in tutto il paese. Dopo aver cercato inutilmente per due decenni un sito permanente, Suttsu, con 2.885 abitanti e Kamoenai, con appena 810 persone che vivono nel suo territorio, sembrano essere pronte a farlo.

Nelle due città è forte il dibattito tra chi vede nel nucleare una redditizia fonte di energia senza emissioni e chi invece la considera un’alternativa pericolosa. Gli incidenti di Chernobyl nel 1986 e di Fukushima nel 2011 hanno rafforzato lo scetticismo pubblico sia sulla sicurezza dei reattori che sulla nostra capacità di immagazzinare in sicurezza i loro residui per secoli. Se le nuove generazioni di reattori sono pensate, almeno sulla carta, per soprire la prima preoccupazione, il problema dei rifiuti rimane. E non solo in Giappone.

Ed è qui che entrano in gioco i due villaggi di pescatori. La strategia nucleare giapponese consiste nel trattare il combustibile esaurito per riutilizzare l’uranio e il plutonio estratti e sigillare il resto in blocchi di vetro, racchiuderli in contenitori di acciaio e seppellirlo nel substrato roccioso di un “deposito geologico profondo” situato 300 metri sottoterra. Lì la radioattività decade lentamente, perdendo il 99,9% della sua potenza in 1.000 anni.

“È più sicuro tenere i rifiuti di alto livello sottoterra che conservarli fuori, considerando i rischi di terremoti, tsunami, tifoni, incendi o terrorismo”, secondo la Nuclear Waste Management Organization (NUMO) giapponese.

La legge giapponese sullo smaltimento finale dei rifiuti radioattivi del 2000 prevedeva che un luogo per il deposito sarebbe stato selezionato entro il 2025 circa, con inizio dello smaltimento circa un decennio dopo. Nessun comune ha presentato domanda al momento.

Secondo i piani del governo, il Giappone dovrebbe essere a impatto zero entro il 2050, ma per farlo ha deciso di non fare a meno del nucleare. Si pone dunque il problema di stoccare le scorie, ormai pari a migliaia di tonnellate. E Suttsu e Kamoenai hanno risposto “presente”. Sebbene le autorità di entrambi i villaggi affermino che la decisione di candidarsi non sia stata presa a causa della pandemia, entrambe hanno sofferto del declino economico e della tendenza all’invecchiamento che ha colpito gran parte del Giappone rurale, quando i giovani lavoratori migrano verso le città.

Gli sforzi dei villaggi per rivitalizzare l’industria della pesca “non sono stati fruttuosi”, ha detto il sindaco Masayuki Takahashi al Japan National Press Club a novembre. L’anno scorso è stato particolarmente difficile, ha detto, mentre Kamoenai è alle prese con la crisi economica del Giappone e la pandemia di coronavirus.

A Suttsu, si pensa così di utilizzare i proventi delle indagini nucleari per aiutare a finanziare un parco eolico offshore. La città è stata il sito del primo impianto eolico onshore del Giappone, all’epoca “un’importante risorsa finanziaria per il comune”, secondo il sindaco Haruo Kataoka . “Suttsu ha una storia di oltre 30 anni di generazione di energia eolica”.

Ma il passaggio di Suttsu dall’avanguardia delle energie rinnovabili a un potenziale sito di scorie radioattive è un paradosso che dovrebbe far riflettere. Un gruppo di cittadini ha chiesto un referendum sulla questione il 23 ottobre, che l’assemblea municipale ha respinto.

“Suttsu è una calda comunità locale dove i bambini possono crescere circondati dalla natura”, ha detto Nobuka Miki, co-leader di un gruppo che combatte contro la creazione del sito di smaltimento. “Il sindaco non ascolta i cittadini che vivranno a Suttsu per le generazioni a venire”.

Il portavoce di Numo Takashi Hondo ha affermato che il processo di revisione assicurerà che lo smaltimento non influisca sulla salute umana.

Anche se i villaggi di Hokkaido supereranno i test, non c’è alcuna garanzia che continueranno a corteggiare l’industria nucleare per i decenni necessari a completare il deposito. Dal canto suo, il Giappone ha la necessità di trovare un posto in cui piazzare i suoi scomodi rifiuti.

Anche l’Italia ha lo stesso problema?

Le cose non stanno esattamente così. Negli ultimi 60 anni circa, il Giappone ha investito molto sul nucleare costruendo oltre 50 reattori di cui 9 ancora in funzione. I suoi rifiuti inoltre, oltre a essere molto più numerosi di quelli italiani, sono anche più pericolosi. I rifiuti radioattivi che dovranno trovare posto nel nostro discusso deposito infatti sono quelli prodotti dal settore sanitario.

Ecco perché il Giappone deve costruirlo anche sottoterra. Al mondo ne esiste solo uno di questo tipo in funzione: è il Waste Isolation Pilot Plant (WIPP), situato a Carlsbad, nello stato del New Mexico. Gli unici paesi che finora hanno stabilito dove costruire e conservare i rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali nucleari sono la Finlandia e la Svezia ma solo il secondo è in corso di costruzione, sull’isola di Olkiluoto.

Rifiuti scomodi, difficili da gestire, in Italia come nel resto del mondo.

Fonti di riferimento: The Japan Times

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