Freedom Island era un bellissimo tratto di spiaggia incorniciato da mangrovie, appena fuori Manila, oggi è interamente coperta di rifiuti ed è considerata una delle zone più sporche delle Filippine, inquinata dalla plastica delle multinazionali.
Freedom Island era un bellissimo tratto di spiaggia incorniciato da mangrovie, appena fuori Manila, oggi è interamente coperta di rifiuti ed è considerata una delle zone più sporche delle Filippine, inquinata dalla plastica delle multinazionali.
Freedom Island è una spiaggia artificiale creata negli anni Settanta, ma con il tempo è diventata un importante habitat per la migrazione degli uccelli dalla Siberia, Giappone e Cina.
Il governo locale l’ha dichiarato un “habitat a rischio” nel 2007, mentre nel 2013 è stato elencato come una “zona umida di importanza internazionale”.Nonostante questo, Freedom Island è letteralmente piena di rifiuti.
Come sappiamo, le Filippine producono annualmente 1.88 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. Durante un audit civico per capire quali tipi di spazzatura stanno intasando la spiaggia, Greenpeace insieme ai partner del movimento #BreakFreeFromPlastic ha stabilito quali aziende sono responsabili di tutto ciò.
Gli audit di rifiuti sono condotti da persone che seguono uno stile di vita a rifiuti zero, durante il monitoraggio si fa un esame di tutto ciò che viene raccolto in una determinata zona, per comprendere da dove viene l’inquinamento e lanciare possibili alternative.
Oltre, quindi, a individuare i tipi più comuni di rifiuti, le verifiche possono riguardare anche l’identificazione di marchi e aziende che utilizzano imballaggi monouso, a basso valore o non riciclabili per i loro prodotti.
Per una settimana, i volontari hanno raccolto i rifiuti a Freedom Island, dividendoli per categorie: prodotti per la casa, personali e imballaggi alimentari e confezionati.
I più grandi colpevoli? Le multinazionali
Nestle, Unilever e l’azienda indonesiana PT Torabika Mayora. I più comuni rifiuti trovati sulla spiaggia erano bustine, pacchetti in plastica e alluminio che sono ampiamente utilizzati in aree povere del mondo (in particolare dell’Asia) per vendere prodotti alimentari, condimenti, prodotti per la cura personale e articoli sanitari, provengono da queste aziende.
L’imballaggio minimo rende gli articoli più economici, ma le bustine non sono riciclabili.
“Poiché non vi è alcun incentivo economico per raccogliere bustine usate che sono state impropriamente gettate sulla spiaggia, nessuno si preoccupa di farlo. Al contrario delle bottiglia di plastica che valgono qualcosa se vengono restituite al deposito”, spiega The Guardian.
I danni provocati dalle bustine sono nei confronti dell’ambiente e degli animali che vivono nel mare, come pesci e tartarughe, che spesso vengono trovati fin di vita con lo stomaco pieno di plastica.
Freddom Island non è l’unica spiaggia ad essere inquinata:
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La storia della Freedom Island ci fa riflettere ancora una volta su quanto le nostre scelte quotidiane influenzano il Pianeta e se è vero che le multinazionali devono assumersi le loro responsabilità, anche i cittadini non sono immuni alle colpe. Abbiamo un disperato bisogno di ritrovare il senso civico e di amare il nostro ambiente.
Dominella Trunfio
Foto: Greenpeace