Scarti della birra: lo studio che dimostra come riutilizzarli per cibo e carburanti

Un recente studio prova a dare nuova vita agli scarti di produzione della bevanda alcolica più apprezzata al mondo: la birra.

Un recente studio prova a dare nuova vita agli scarti di produzione della bevanda alcolica più apprezzata e consumata al mondo: la birra.

La birra, prodotta e apprezzata in ogni angolo del pianeta, rischia di trasformarsi in un problema ambientale. Dal processo produttivo, infatti, vengono fuori tonnellate di prodotti di scarto. Ora però una ricerca statunitense conferma come i rifuti di luppolo e cereali possano essere trasformati in pieno spirito di economia circolare.

È una delle bevande alcoliche più amate e diffuse al mondo, simbolo di convivialità e emblema nazionale di molti paesi. È la birra, che sta conoscendo una nuova fortuna grazie al proliferare dei birrifici artigianali e delle eccellenze locali. Purtroppo però la sua produzione lascia molti scarti, che ovviamente rappresentano un problema per l’ambiente. Un recente studio condotto negli Stati Uniti ha provato a dare nuova vita a ciò che resta dopo la produzione della birra, trasformando i rifuti di luppolo e cereali in fonti proteiche (utili per l’alimentazione) e biocarburante a basso impatto ambientale.

Per ogni 100 litri di birra prodotta ci sono circa 20 kg di scarti, l’85% dei quali è costituito da cereali utilizzati nella produzione. Ricchi in cellulosa, proteine, amminoacidi e minerari, alcuni di questi cereali sono utilizzati per la nutrizione del bestiame, ma la maggior parte finisce nelle discariche.

Il recente studio condotto dar ricercatore cinese Haibo Huang prova a invertire questa tendenza dannosa per l’ambiente. “C’è un disperato bisogno di ridurre gli scarti nell’industria della birra” ha affermato. “La maggior parte delle birre che beviamo sono fatte da orzo, ma il problema è che non tutti i componenti dell’orzo possono venire fermentati in birre. Tutto ciò che resta diventa un problema per l’ambiente.” Con il 30% di proteine e il 70% di fibre, il cereale utilizzato rappresenta un’occasione sprecata secondo Huang e il suo team che hanno collaborato con alcune birrerie statunitensi per trovare un modo di trasformare lo scarto in prodotti dal valore aggiunto. Insieme hanno messo a punto un metodo per separare i cereali in un concentrato di proteine e materiale ricco di fibre. (Leggi: La birra artigianale belga ora è Patrimonio dell’Umanità Unesco).

Il riutilizzo degli scarti di lavorazione della birra in piena filosofia di economia circolare, non è certo una novità. Anche in Italia lo stesso CREA – Consiglio per la ricerca in Agricoltura – ha lanciatoi il progetto Birraverde della Rete Rurale Nazionale per riutilizzare il 90% degli scarti delle materie prime impiegate nella filiera di produzione della birra, in particolare trebbie, lieviti esausti e acque di processo da destinare principalmente a pellet. (Leggi anche: Energia dalla birra? It’s possible!)

Ma mentre altre tecniche testate finora richiedono l’asciugatura del cereale di scarto, questo nuovo metodo individuato dai ricercatori lavora con la polvere dei cereali ancora umidi – appena usciti dal processo di produzione della birra. I ricercatori hanno testato enzimi disponibili in commercio e ne hanno trovato particolarmente efficace nel separare la fibra dalle proteine.

riutilizzo scarti birra

Una volta separati i due elementi, la polpa del cereale viene setacciata dando vita a due prodotti – uno proteico, l’alto fibroso. Nel “concentrato” proteico così ottenuto è stato recuperato fino all’83% delle proteine contenute nel cereale scartato. I ricercatori avevano pensato in un primo momento di utilizzare queste proteine per creare mangime per i pesci. Fino al 50% del mangime per pesci attualmente in uso nell’industria dei gamberetti potrebbe essere sostituito con questa polvere proteica, che potrebbe essere usata come mangime anche per altri animali – o, addirittura, come fonte proteica per l’alimentazione umana.

Per quanto riguarda invece il restante prodotto ricco di fibre, Huang e il suo team lo hanno sperimentato in associazione con il batterio Bacillus lichenformis, che sarebbe in grado di produrre un composto chimico organico utilizzabile nei settori più disparati, a cominciare dal biocarburante.

Fonte: ACS

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