Divieti o tariffe sui sacchetti di plastica hanno l’obiettivo di ridurre la quantità di plastica destinata alla discarica, ma una nuova analisi rileva che questa politica potrebbe portare all’acquisto di più sacchetti di plastica. Interessante se contestualizziamo lo studio: effettuato in alcune contee americane sostanzialmente differenti dalle nostre città, potrebbe dare risultati differenti se venisse svolto in Italia
I divieti sui sacchetti di plastica possono ritorcersi contro? Come? Invogliandoci ad acquistare altra plastica. È questo l’assunto cui giunge uno studio dell’Università della Georgia che rileva che le norme volte a eliminare o far pagare anche pochi centesimi le shopper in plastica, sebbene creata con buone intenzioni, potrebbe portare all’acquisto di più sacchetti di plastica nelle comunità in cui quelle norme sono in vigore.
Questo perché – si spiega nello studio pubblicato su Environmental and Resource Economics – mentre gli shopper di plastica sono visti come un articolo monouso, trovano piuttosto spesso un secondo utilizzo come sacchetti per la spazzatura. Quando queste borse della spesa vengono “tassate” o eliminate del tutto, le persone cercano alternative, il che significa, in parole povere, che poi vanno a comprare altri sacchetti di plastica da destinare all’immondizia.
Almeno questo è quanto è spiegato nello studio, che ha evidentemente scandagliato comunità e stili di vita sostanzialmente diversi dai nostri. Ma cosa accadrebbe in Italia?
Sappiamo che c’è una richiesta di utilizzo di sacchetti di plastica e sappiamo che laddove queste politiche entrano in vigore, alcuni sacchetti scompariranno o diventeranno più costosi – spiega Yu-Kai Huang, ricercatore post-dottorato alla UGA Warnell School. Quindi, volevamo vedere l’efficacia di questa politica nel ridurre l’utilizzo complessivo delle buste.
Di fatto, già studi precedenti hanno esaminato l’effetto dei divieti dei sacchetti sul consumo di plastica, ma non gli effetti combinati delle tariffe o di un divieto assoluto sui sacchetti. Huang ha utilizzato un nuovo modo per calcolare l’effetto di entrambe le politiche, tenendo conto anche di variabili come i livelli di reddito dei residenti e la densità di popolazione di un’area, che influenzano entrambi la quantità di spazzatura generata in una comunità.
Ma, in buona sostanza, il divieto dei sacchetti di plastica è efficace nel complesso?
Tenendo presente la seconda vita che i sacchetti della spesa di plastica assumono in molte case, Huang e il professor Richard Woodward della Texas A&M University hanno misurato le vendite di sacchetti della spazzatura di plastica nelle contee con divieti o tariffe in vigore e le hanno confrontate con altre contee in cui non vigevano tali politiche.
Lo studio
Una premessa: l’analisi effettuata da Huang e colleghi riguarda alcune contee californiane, di cui non conosciamo approfonditamente le varie normative riguardanti l’utilizzo, o il non utilizzo, di shopper in plastica o di altro. Al netto, anche, di una raccolta differenziata certamente esistente, le cui modalità variano da contea a contea.
Lo studio ha rilevato che in alcune comunità della California le politiche sull’uso di buste di plastica hanno portato a una vendita di sacchi della spazzatura aumentata dal 55% al 75%, mentre le vendite di sacchi della spazzatura più grandi sono aumentate dall’87% al 110%. Questi risultati fanno eco a studi precedenti che hanno anche mostrato un aumento delle vendite di sacchi per la spazzatura di plastica più piccoli.
Ma mentre le vendite di piccoli sacchi della spazzatura sono aumentate dopo l’attuazione delle politiche, le vendite di sacchi della spazzatura più grandi, le dimensioni che si trovano spesso nei bidoni della spazzatura da cucina, sono invece rimaste relativamente invariate.
Ciò ha ulteriormente sottolineato la doppia vita dei sacchetti della spesa di plastica, osserva Huang.
L’aumento involontario delle vendite di sacchi della spazzatura potrebbe essere misurato anche in base al peso. Acquistando sacchi della spazzatura da 4 galloni (15 litri circa), si legge nello studio, il consumo di plastica è aumentato tra 30 (circa 13 chili) e 135 libbre (più di 60 kg) per negozio al mese. Le vendite di sacchi della spazzatura da 8 galloni (30 litri circa) hanno creato da 37 (circa 16 kg) a 224 libbre (più di 100 kg) di plastica in più per negozio al mese.
Ma, ha osservato Huang, i divieti o le piccole tariffe applicate alle buste per la spesa potrebbero intaccare i rifiuti di plastica nei negozi ad alto volume. Lo studio ha rilevato che se un negozio generasse almeno 326 sacchetti di plastica da asporto al giorno – circa 9.769 al mese – si finirebbe per inviare meno plastica in discarica.
È importante che i responsabili politici comprendano le conseguenze non intenzionali dei divieti o delle tariffe sui sacchetti di plastica prima di implementarli, conclude lo studio, ma releghiamo questa analisi a quelle specifiche contee della California.
Quanto a noi? Sarebbe innanzitutto interessante capire il funzionamento della differenziata nelle contee in cui questo studio è stato effettuato, poi, pensando alla realtà italiana, una analisi simile potrebbe avere senso in città dove la differenziata non funziona (e ci viene in mente Roma…). Solo laddove il cittadino è “costretto” ad andare a comprare sacchetti da utilizzare per l’immondizia, il gioco delle normative sugli shopper potrebbe effettivamente non valere la candela. Qui da noi, per esempio, i sacchetti in bioplastica si possono riutilizzare per l’umido, mentre nei posti dove la differenziata funziona ed è a regime i sacchetti vengono distribuiti dai Comuni.
L’Italia è stato il primo Paese a vietare gli shopper in plastica, per questo motivo la situazione descritta nello studio verrebbe a decadere nel momento in cui si farebbe una buona raccolta differenziata. Quindi? La soluzione è solo una: continuiamo ad usare le nostre sportine di tessuto e a fare una corretta raccolta differenziata e vedremo che non ci sarà aumento di sacchetti di plastica in qualunque direzione di vada. Non perdiamoci d’animo se il nostro Comune non eccelle in questo, noi facciamo la nostra parte di cambiamento.
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Fonti: Environmental and Resource Economics / UGA
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