Plastica d’ogni forgia e dimensione, dalle penne agli arredi, passando per i giocattoli e le sedie. Il mondo ne è stracolmo, ne è stracolmo il mare. Ne siamo circondati, nei suoli, nei fiumi, nell’aria, nel cibo. Il suo impatto su ogni essere vivente e habitat è sempre più devastante e il bello è che ancora non si fa molto per ridurne produzione e consumo. Anzi, il nostro è tra i peggiori Paesi inquinatori che si affacciano sul Mediterraneo
Plastica, come se piovesse. Fino a un quinto dei rifiuti in plastica invade ogni anno mare, le acque dolci e la Terra. La produzione globale della plastica è passata da meno di 2 milioni di tonnellate del 1950 a oltre 390 milioni di tonnellate nel 2021 (un aumento di circa 200 volte), di cui il 90% derivate da materie prime fossili, l’8% da plastica di riciclo e 1,5% da fonti bio.
Ogni anno nel mondo vengono utilizzati fino a 5mila miliardi di sacchetti di plastica (più di 1 milione al minuto), mentre ogni minuto si acquistano 1 milione di bottiglie di plastica. Numeri impressionanti che hanno fatto sì che la massa (in peso) di tutta la plastica presente sul Pianeta sia il doppio della biomassa totale degli animali terrestri e marini messi insieme.
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Sono i dati che emergono dal nuovo report del WWF “Plastica: dalla natura alle persone. È ora di agire”, che chiede al Governo di andare oltre il riciclo dei soli imballaggi e di estendere la raccolta differenziata a tutti i prodotti in plastica di largo consumo allo scopo di far crescere l’economia circolare come valore condiviso.
La maggior parte delle plastiche presenti nell’ambiente (88%) è costituita da macroplastiche (più grandi di 5 mm), una dispersione dovuta principalmente a una raccolta e uno smaltimento inadeguati. Il restante 12% è rappresentato dalle microplastiche, ossia plastiche con un diametro inferiore a 5 mm14, difficili da vedere e, quindi, da intercettare per rimuoverle e monitorarle.
Le micro e nano plastiche derivano non s olo dall’immissione diretta nell’ambiente dei prodottiche le contengono, ma anche dalla frammentazione e degradazione dei rifiuti di plastica abbandonati in natura, dall’abrasione degli pneumatici, dall’usura dei freni o dal lavaggio di tessuti sintetici. La maggior parte delle plastiche (90%) proviene da idrocarburi fossili e nessuna di quelle comunemente usata è biodegradabile, di conseguenza, si accumulano nelle discariche o nell’ambiente naturale, invece di decomporsi. I rifiuti di plastica sono oggi talmente diffusi nell’ambiente da essere stati suggeriti come indicatore stratigrafico dell’attuale nuova era geologica, contraddistinta all’influenza delle attività umane: l’Antropocene.
Cosa provoca la plastica
A fronte di una produzione in costante crescita, lo smaltimento della plastica è oggi ancora altamente inefficiente e inefficace, con tassi di riciclo inferiori al 10% a livello globale. Il risultato è che fino a 22 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica entrano nell’ambiente marino e altrettanti nell’ambiente terrestre ogni anno, in gran parte plastica monouso. Inoltre, attualmente, la produzione di plastica è responsabile di circa il 3,7% delle emissioni globali di gas serra e si prevede che questa percentuale possa aumentare fino al 4,5% entro il 2060, se le tendenze attuali continueranno senza controllo.
Una contaminazione globale, diffusa e persistente di ogni ambiente naturale (mari, fiumi, laghi, terra e aria), come afferma nel suo report il WWF, tanto che l’inquinamento da plastica in Natura ha superato il “limite planetario” (Planetary boundary), oltre il quale non c’è più la sicurezza che gli ecosistemi garantiscano condizioni favorevoli alla vita.
La fine dei prodotti non riciclabili
Che fine fanno i prodotti in plastica che non possono essere riciclati perché non sono imballaggi, come previsto dalla normativa vigente? Sedie e arredamenti in plastica, penne e pennarelli, spazzolini, giocattoli, pettini, spugne e spugnette, bacinelle e ciotole, gonfiabili e palloni, utensili da cucina e guanti, scarpe e ciabatte. Siamo circondati da prodotti che, una volta che smettiamo di utilizzare perché rotti o obsoleti, non possono essere riciclati perché la regolamentazione attuale non lo prevede e quindi finiscono in discarica o a recupero energetico.
Per fare un esempio, in Italia ogni anno gettiamo 4mila tonnellate di plastica solo con il consumo degli spazzolini da denti. Un quantitativo importante di plastica che oggi non viene riciclato e non contribuisce a creare nuovi oggetti. È evidente che se aumentassimo il riciclo rendendolo più efficiente e riciclando più tipologie di prodotti oltre agli imballaggi, potremmo dare vita a molte più cose con la plastica riciclata, risparmiando molta più materia prima e molte più emissioni di CO2.
Per attuare un cambio di rotta, ormai indispensabile, la soluzione è l’economia circolare in cui le materie prime, come la plastica, di un oggetto non più funzionante restino in circolo, in un lungo e possibilmente infinito succedersi di produzione e riuso/riciclo, eliminando le fasi di estrazione di materie prime e smaltimento. L’efficienza nell’utilizzo delle risorse, promossa dall’economia circolare, deve diventare un fattore cruciale per orientare nuovi modelli di produzione e di consumo, e consentire una transizione verso stili di vita e dinamiche socioeconomiche più rispettose dell’ambiente – dice Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del WWF Italia. Per questo vogliamo muovere alle istituzioni richieste più ambiziose. Non c’è più tempo da perdere.
Senza un miglioramento nella gestione della plastica e dei suoi rifiuti, entro il 2050 la quantità totale di plastica prodotta si è calcolato che potrebbe triplicare, con conseguente aumento dell’immissione di rifiuti di plastica nell’ambiente: 12 miliardi di tonnellate di plastica potrebbero finire negli ambienti naturali. Se accadrà, tra 30 anni nel mare ci potrebbero essere più plastiche che pesci.
Prevenzione, riuso e riciclo sono i tre pilastri dai quali dobbiamo muoverci: è necessario ridurre la produzione e l’uso della plastica non necessaria e dannosa, incentivare il riutilizzo e la riparazione dei prodotti in plastica puntando sull’innovazione, ed è altrettanto importante estendere la raccolta differenziata a tutti i settori produttivi di largo consumo, oltre agli imballaggi, per incrementare le tipologie di oggetti che vanno al riciclo.
In questo ambito le aziende hanno un ruolo chiave e sono chiamate ad applicare tre regole cardine: eliminare tutte le plastiche difficilmente riciclabili o non riciclabili affatto e non indispensabili; innovare, implementando modelli di business circolari per assicurare che tutti gli oggetti in plastica possano essere riutilizzati, riciclati o compostati; rendere circolari le plastiche, aumentando la quantità di materiale riciclato nei nuovi prodotti in plastica, che devono essere facilmente riciclabili e riportare indicazioni chiare per i consumatori su come devono essere smaltiti per favorire l’effettivo riciclo a fine utilizzo.
L’obiettivo comune è porre fine all’inquinamento da plastica entro il 2040 e per raggiungerlo è urgente l’adozione da parte delle nazioni del mondo di un Trattato globale sulla plastica, in accordo con il mandato stabilito nella risoluzione del marzo 2022 dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEA) perché i danni all’ambiente causati dalla plastica e dalle sostanze chimiche ad essa associate sono di portata planetaria e trascendono i confini nazionali, avendo effetti sulla salute del pianeta e delle persone di tutto il mondo, conclude Eva Alessi.
QUI trovi il report completo.
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Fonte: WWF
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