Navi a perdere: nel mare cosentino trovato un relitto con scorie radiottive

E' stato fotografato da uno speciale sonar inviato dalla Procura di Paola, un relitto al largo delle coste cosentine che risulta essere compatibile con il mercantile Cunsky, una delle cosidette navi a perdere

L’hanno trovata grazie a un robot che trasmette immagini in superficie. La cercavano da giorni. Così, quando le riprese subacquee effettuate in fondo al mare, a largo delle coste cosentine dalla sonar dell’Arpacal – l’agenzia ambientale della Regione – hanno mostrato un relitto dalla quale sono ben visibili dei fusti, quello che era sempre stato un timore, è diventato una triste realtà.

Delle cosiddette navi a perdere, imbarcazioni “fantasma” cariche di rifiuti tossici fatte inabissare dalla ‘ndrangheta nei mari calabresi per smaltire illegalmente il loro carico, se ne parlava da anni. Soprattutto da quando il pentito Francesco Fonti nel 1992 riferì di un gruppo di 4 imbarcazioni – la Jolly Rosso, che si è arenata ad Amantea il 14 dicembre 1990, la Cunsky, la Voriais Sparadis e la Yvonne A – contenenti scorie radioattive – fatte sparire nelle acque calabresi. Un giallo di ecomafia sulla quale è disponibile anche un bellissimo libro nella collana noir Verde Nero.

E quello che è stato rinvenuto a 14 miglia dalla costa di Cetraro, famosa località di balneazione in provincia di Cosenza, dalle immagini documentate dal robot, sembrerebbe corrispondere proprio al Cunsky, il mercantile ufficialmente smantellato il 23 gennaio, ma che secondo Fonti sarebbe stato affondato nelle acqua calabresi con un carico di 120 fusti contenenti scorie radioattive.

La certezza ancora non c’è e per il procuratore della Repubblica di Paola, Bruno Giordano che, spinto dalla volontà di andare fino in fondo, ha avviato le ricerche e predisposto l’uso degli speciali sonar, “si apre uno scenario non facile da gestire”. Spiega il procuratore Giordano: “Finora si sono solo fatte supposizioni, ipotesi, ma ora abbiamo la conferma della presenza del mercantile. È un forte aggancio da cui partire“.

Per la conferma ufficiale però, la Procura dovrà predisporre una serie di nuovi accertamenti presso il Ministero della Marina, anche perché se le immagini sono compatibili con il racconto del pentito, in particolare lo squarcio a prua, la lunghezza di 110 metri, la stiva piena e i fusti che si intravedono, queste non sono riuscite a fotografare il nome dell’imbarcazione. Quel che è certo, in quel punto non risulta alcun affondamento ufficiale, né in tempo di pace, né in tempo di guerra. Come pure l’aumento sproporzionato del numero di tumori tra le popolazioni costiere su cui la Procura sta ancora indagando.

L’importante ritrovamento del relitto affondato a largo di Cetraro – commenta Sebastiano Venneri, vicepresidente di Legambiente che già nel 1994 aveva presentato un dossier sulle misteriose sparizioni di navi – speriamo permetterà di affrontare con nuovo vigore le inchieste chiuse forse troppo frettolosamente e le indagini mai correttamente approfondite su una pratica assai diffusa che ha visto, tra gli anni Ottanta e Novanta, una quarantina di navi affondare misteriosamente nei punti più profondi del Mediterraneo“.

Ma cosa c’è esattamente dentro quei fusti? C’entrano niente con la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin che indagavano sul traffico di rifiuti illecito tra Somalia e Italia? Sicuramente una volta riusciti a recuperare e analizzare il contenuto del cargo abbissato tante domande, tutte italiane, potrebbero avere finalmente una risposta.

Simona Falasca


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