“Possibile che nessuno l’abbia mai pensato?”, così mi fa Vanni Cavolo, padre adottivo del brevetto River Cleaning (l’inventore originario del primo è Andrea Citton). Con lui parlo dei mari di plastica e di come sarebbe bello se, un giorno, tutti i panorami meravigliosi di un tempo tornassero come prima
Sposta mari e monti, letteralmente, e con loro tonnellate di plastica che ogni giorno inghiottono. Se negli ultimi decenni siamo stati in grado di aumentare esponenzialmente la produzione e il consumo di oggetti in plastica, inquinando terraferma e acqua soprattutto in molti Paesi dell’Asia e dell’Africa – dove i sistemi di raccolta dei rifiuti sono spesso inefficienti o inesistenti – una soluzione ci dovrà pure essere.
Che è quella di non produrre più o produrre di meno, certo, e anche quella di fare in modo che il nostro impatto ambientale sia il minore possibile. Serve uno sforzo comune, è ormai ovvio (ma non per tutti così chiaro), e un po’ di ingegno. Serve che ognuno si guardi davanti e cominci a valutare ciò che può fare realmente per cambiare in qualche modo il corso degli eventi.
Si può, certo, e un po’ oggi ce lo insegna Vanni Covolo, CEO e co-founder di River Cleaning.
Dottor Covolo, com’è nata River Cleaning?
Guardando i mari letteralmente invasi di plastica, soprattutto nel Sud Est asiatico. Dopo 50 anni e dopo che avevo speso una vita in azienda a produrre stampi in plastica per l’automotive e per il settore aerospaziale, ho deciso di convertire tutto e investire in qualcosa che andasse oltre la mia presenza su questo Pianeta.
Beh, lei produceva stampi in plastica, non si rendeva conto dell’impatto che lei stesso provocava?
Guardi, io sono dell’idea che la plastica ci sia diventata necessaria, provi a immaginare cosa significherebbe tornare indietro di 80 anni. Il mio parere è che, se ben utilizzata, la plastica è oramai qualcosa che non siamo più in grado di demonizzare. Imballaggi, parti di auto, conservazione di medicinali… Il nostro più grave e imperdonabile errore è che, in Paesi come il nostro in cui godiamo di innovati sistemi di conferimento differenziato, ancora non gettiamo correttamente i rifiuti in plastica. E così ci ritroviamo i fiumi pieni, i cigli delle strade imbrattati…
Che scenario ha trovato in Italia?
Nei corsi d’acqua arriva di tutto: sacchetti di immondizia pieni, confezioni di alimenti ancora intatte, mozziconi di sigarette, confezioni imballate di carne… E questo è quello che vediamo noi dalle nostre parti, ma proviamo a pensare in India o in Africa dove non ci sono sistemi di conferimento adeguati, quale disastro noi stessi stiamo provocando.
Lei mi chiedeva se sono pentito di aver prodotto in passato parti in plastica, le dico ancora che ne potrei andare anche fiero, perché ho creato pezzi molto complicati e perché allora mi ha dato – non lo nego – soddisfazioni dal punto di vista economico. Però poi è scattato qualcosa: ho visto una foto di un’isoletta in cui ero stato 30 anni prima, una baia di una bellezza indescrivibile, ridotta a pattumiera.
“Questo posto è diventato un disastro”, mi son detto, e così ho deciso che, se volevo lasciare qualcosa ai miei nipoti, dovevo rimboccarmi le maniche e darmi da fare. Così ho convertito la mia azienda, sono rimasti gli edifici, e ho cominciato a pensare a sistemi che intercettassero la plastica e, perché no, a sistemi che frenassero anche gli oli – pensi a una petroliera incagliata… Ci vuole innovazione, altrimenti si rischia di rimanere nel proprio orticello e continuare a provocare danni. Ho investito, ho deciso di abbandonare fatturati e reddito certi.
Come funziona allora River Cleaning?
È una serie di boe galleggianti disposte in diagonale in un fiume ancorate a un cavo sommerso posto nel letto – o a mezza profondità per i corsi profondissimi – e che, grazie alla corrente ruotano 24 ore su 24 in una serie di ingranaggi. In questo modo, spostano mano a mano il detrito intercettato e lo spingono verso un punto di raccolta a lato del corso d’acqua.
Un marchingegno bello costoso e soprattutto impattante per la fauna marina…
Assolutamente no, non costa nulla: attualmente è una struttura fatta in plastica riciclata oppure in acciaio a seconda delle richieste, non ha bisogno di energia perché la raccoglie direttamente dalla forza della corrente del fiume, è una soluzione a basso impatto ambientale, modulare e scalabile, ovvero in grado di adattarsi a qualsiasi corso d’acqua.
Consente, inoltre, il passaggio delle imbarcazioni e nemmeno sulla fauna marina va a impattare, proprio perché il sistema è galleggiante. Noi non diamo fastidio all’ecosistema né ai pesci, il vantaggio è proprio questo. Non è una gabbia: la struttura river cleaning non fa altro che intercettare i rifiuti che galleggiano e conferirli alla differenziata.
E allora diciamo che leviamo il grosso, perché le microplastiche non le toglie mica…
Il tempo che passa dal momento in cui gettiamo un rifiuto al momento in cui questo si degrada fino a microplastica è enorme rispetto al tempo che noi impieghiamo a prendere la macro plastica e la meso plastica, cioè tutto quello che è superiore ai 5 millimetri, in fiume. Tutto ciò che viene trasportato dalla corrente nei fiumi viene bloccato prima di inquinare il mare e così evitiamo il continuo sversamento di plastica. Ogni anno si riversano in mare circa 13 milioni di tonnellate di prodotti plastici, nel solo Mediterraneo si stima siano 560 mila tonnellate e l’80% vi arriva dai corsi d’acqua. E questa quota significativa di rifiuti può essere già intercettata in maniera efficace.
Dal 2019 quanto avete raccolto?
Abbiamo la presunzione di intercettare oltre l’80% dei rifiuti in plastica, a dopo 3 anni, solo quest’anno cominciamo la produzione vera e propria. Abbiamo ovviamente già un impianto nostro, il nostro “campo di battaglia o centro operativo”, e ora stiamo ora progettando il primo impianto in Veneto per il Consorzio di Bonifica, mentre cominciamo a fare offerte all’estero.
Ho investito di tasca mia fino a qualche giorno fa, ma gli sforzi hanno valso la pena: oltre al bando europeo, River Cleaning si è classificato secondo e ha vinto il premio speciale Labomar alla Treviso Creativity Week.
Ha ricevuto la certificazione di sostenibilità Friend of the Sea ed è stato l’unico progetto italiano a essere selezionato nella categoria sostenibilità all’IPEC 2022 (International Production Environmental Community). In più, rientra tra i 30 progetti finalisti del programma di Co-Innovation organizzato da VeniSIA, l’acceleratore con sede nella laguna di Venezia che ha valutato oltre 4000 start up.
Il River Oil invece cos’è?
Ho fatto un po’ di studi e dopo in po’ ho capito che la quantità di oli dispersi in acqua sono tonnellate, a partire dai residui di idrocarburi. Oltre a poter bloccare eventuali rifiuti solidi grazie ai princìpi base River Cleaning, River Oil mira a rimuovere dalle acque i residui situati nella parte superficiale quali scarti di combustione, residui oleosi provenienti dal manto stradale, scarti industriale e, infine, sversamenti oleosi a seguito di estrazione e trasporto di idrocarburi, rifornimento e incidenti di imbarcazioni petrolifere.
Se io fossi un’amministrazione locale, potrei decidere di installare queste boe? Come funziona?
Sarà il nostro prossimo passo: andremo noi a cercare di dire “questo sistema funziona” e se, sono d’accordo, facciamo pagare X e noi lo installiamo, diamo assistenza e soprattutto la possibilità di pulire i corsi d’acqua. Sarebbe interessante, perché potremmo pulire tutto il sistema nazionale e soprattutto andare all’estero.
Il sogno di Vanni Covolo.
Poter vedere che il mondo, tramite il mio o qualsiasi altro sistema simile, sia tratto in salvo. Non è che manca tanto eh.
E poter rivedere quell’isoletta che visitai 30 anni fa nuovamente meravigliosa com’era un tempo.
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