Nuove ricerche analizzano le sostanze chimiche presenti negli imballaggi, negli utensili e nei piatti. E scopre in che modo, anche quelli in plastica riciclata, siano in grado di contaminare il cibo
Indice
Le plastiche riciclate e riutilizzate che vanno a contatto con gli alimenti sono “vettori per la diffusione di sostanze chimiche preoccupanti”, perché accumulano e rilasciano centinaia di tossine pericolose come stirene, benzene, bisfenolo, metalli pesanti, formaldeide e ftalati.
A dirlo è un nuovo studio della Cambridge University che ha revisionato centinaia di pubblicazioni scientifiche sulla plastica, a partire da quella riciclata, per fornire una visione globale sulle sostanze chimiche a contatto con gli alimenti negli imballaggi alimentari, negli utensili, nei piatti e in altri oggetti e ciò che si sa su come queste sostanze sia in grado di contaminare il cibo.
Sostanze chimiche pericolose possono accumularsi nel materiale riciclato e quindi migrare nei prodotti alimentari, portando a un’esposizione umana cronica, hanno scritto gli autori dello studio, citando come esempio comune le bottiglie in plastica di polietilene tereftalato (PET).
Lo studio della Cambridge University
La nuova ricerca evidenzia come il miglioramento della riciclabilità di alcuni materiali possa comportare dei rischi. Per questo, gli studiosi hanno identificato 853 sostanze chimiche utilizzate nella plastica riciclata in PET (molte delle quali scoperte negli ultimi due anni).
I più comunemente rilevati sono stati l’antimonio e l’acetaldeide, mentre sono state trovate più frequentemente anche potenti tossine come 2,4-DTBP, glicole etilenico, piombo, acido tereftalico, bisfenolo e oligomeri ciclici PET.
Inoltre, la chimica della plastica può essere una sorta di scatola nera. Negli Stati Uniti, c’è pochissima regolamentazione su ciò che va nel materiale e l’UE richiede solo test leggeri per determinare quali sostanze chimiche sono presenti nella plastica.
Non è sicuro e, man mano che la qualità della plastica riciclata diminuisce, la quantità di potenziali contaminanti aumenta, ha affermato Birgit Geueke, autrice principale dello studio.
I dati indicano che le sostanze chimiche vengono aggiunte o create durante il processo di riciclaggio. Mentre 461 tipi di composti organici volatili (COV) sono stati rilevati nella plastica vergine, circa 573 sono stati trovati in materiale riciclato. Difficile dire perché ciò si sia verificato, ma – secondo lo studio – potrebbe derivare dall’aggiunta di sostanze chimiche durante il processo di riciclaggio, dall’aggiunta di sostanze chimiche dal flusso di riciclaggio contaminato, dalle reazioni tra le sostanze chimiche o dalla plastica che assorbe sostanze chimiche aggiuntive quando viene utilizzata la prima volta.
La revisione ha anche evidenziato un diffuso riciclaggio “illecito” in cui l’industria utilizza plastica non alimentare prodotta con ritardanti di fiamma e altri composti tossici negli imballaggi alimentari riciclati.
Ci sono chiare indicazioni di ritardanti di fiamma bromurati che provengono dalla vecchia TV, computer, tastiera, ha detto Geueke. eE certamente non è legale.
La revisione ha identificato, inoltre, problemi simili con articoli in plastica riutilizzabili per il contatto con gli alimenti, come utensili da cucina, bottiglie d’acqua, stoviglie, biberon, distributori d’acqua e altro ancora.
Il report Greenpeace
Praticamente alle stesse conclusioni arriva un report diffuso da Greenpeace USA, pubblicato a ridosso del nuovo ciclo di negoziati per un trattato globale sulla plastica dell’ONU, le cui trattative si terranno a Parigi.
La plastica riciclata spesso contiene concentrazioni più elevate di sostanze chimiche tossiche come benzene e altri agenti cancerogeni rispetto alla plastica vergine. Contiene anche “numerosi interferenti endocrini che possono causare cambiamenti nei livelli ormonali naturali del corpo”, si legge nel report.
Meno del 10% della plastica oggi viene riciclata, ma anche quella che entra negli impianti, ne esce con concentrazioni più elevate di sostanze chimiche tossiche, moltiplicando il loro potenziale danno per l’uomo, gli animali e l’ambiente.
Secondo il dossier, infine, la plastica riciclata contiene sostanze chimiche come ritardanti di fiamma, benzene e altri agenti cancerogeni in livelli più elevati. E poi inquinanti ambientali come le diossine bromurate e clorurate e numerosi interferenti endocrini.
E l’appello del WWF
Da oggi, 29 maggio, al 2 giugno, Governi, imprese, scienziati e accademici, attivisti e rappresentanti delle ONG e dei giovani di tutto il mondo parteciperanno alla seconda riunione del Comitato Intergovernativo di Negoziazione (INC-2) a Parigi, per sviluppare il Trattato globale per la plastica con l’obiettivo di porre fine all’inquinamento da plastica a livello planetario.
Il WWF fa un appello ai governi perché sostengano i divieti globali e l’eliminazione graduale dei prodotti in plastica monouso “ad alto rischio e non necessari”, come le posate di plastica, le sigarette elettroniche e le microplastiche nei cosmetici, insieme a controlli più stringenti per la gestione del fine vita dei prodotti di plastica, che incentivino ed efficientino il riuso, la raccolta e il riciclo. Il nuovo Trattato è un’occasione unica per porre fine all’inquinamento da plastica e la nostra opportunità per affrontare questa crisi nel modo corretto e più efficace.
Secondo il WWF, tra le priorità, il Trattato deve affrontare i problemi relativi a tutti i prodotti in plastica ad alto rischio (per la facilità con cui finiscono in ambiente e la presenza di sostanze chimiche potenzialmente tossiche), come gli oggetti monouso in plastica, le attrezzature da pesca perse o abbandonate (le cosiddette “ghost gear“, le reti fantasma) e alle microplastiche che sono tra gli inquinanti che più si trovano nei nostri oceani, mettendo a rischio la salute delle specie e dell’essere umano.
Il WWF chiede che il Trattato includa anche il divieto immediato di produzione e vendita di quei prodotti in plastica a più alto rischio per i quali esistono già valide alternative. Per tutti quei prodotti per i quali invece non esistono ancora alternative praticabili su larga scala, il WWF chiede che venga fissato un periodo di eliminazione graduale, con una scadenza al 2035, per concedere ai Governi e alle imprese il tempo di attuare nuove misure per adeguarsi, come i modelli di riutilizzo. Per quei prodotti invece che non possono essere eliminati, il trattato deve introdurre misure di controllo per prevenire l’inquinamento, promuoverne la circolarità e una loro corretta gestione.
L’incontro che si inaugura oggi a Parigi sarà l’ultima possibilità per i Paesi di riunirsi tutti insieme e formalizzare un obiettivo comune codificati in un Trattato globale. Noi intanto cosa possiamo fare? Come difenderci? Evitiamo il più possibile la plastica! In definitiva, il rimedio più efficace sarà solo e soltanto l’eliminazione della plastica e l’uso di materiali più sicuri.
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Fonti: Cambridge University / Greenpeace USA
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