Plastica inutile su frutta e verdura, perché ancora nessuno riesce a fermare questo abuso?

Non ci basta sapere che l’equivalente di un camion di rifiuti finisce in mare ogni minuto? Non ci basta assistere alla morte di milioni di animali. Non ci basta aver trovato microplastiche perfino nei tessuti della placenta delle donne? Cosa stiamo ancora aspettando?

Banane, cipolle, mele, carote e via dicendo, quante volte andando al supermercato li avete visti avvolti in strati e strati di plastica? Scommettiamo dieci volte su dieci. E nonostante battaglie di associazioni ambientaliste, denunce e soprattutto proclami di divieti, gli imballaggi in plastica stanno lì. Perché nessuno riesce a fermarne l’uso (e soprattutto l’abuso?).

Nel 2023, ad esempio, la Spagna avrebbe dovuto vietare la vendita di frutta e verdura in imballaggi di plastica. Il governo per la Transizione ecologica nel 2021 aveva messo a punto un decreto che mirava a ridurre l’inquinamento causato dalla plastica e incoraggiare gli acquisti sfusi. Un decreto che avrebbe dovuto trovare applicazione già dal 1 gennaio 2023, ma che adesso sembra essere slittato alla fine dell’anno (e non è detto che gli imballaggi scompariranno a partire dal 2024).

Ma senza dover scomodare la Spagna, basta guardare i supermercati di casa nostra. Mele, pere, carote, cetrioli e altre verdure sono ancora avvolte nella plastica. E nella maggior parte dei casi senza una necessità logica. Si tratta semplicemente di banale sovrimballaggio. Qualche esempio?

agricoltura biologica imballaggi plastica

@greenMe.it

Una cipolla in un vassoio, 20 grammi di basilico avvolti nella plastica e ancora una banana o un’ arancia in solitaria totalmente sigillate. Ha senso confezionare frutta e verdura che già per natura, grazie alla buccia, hanno una loro protezione? La risposta è ovviamente NO. Qualche anno fa, noi di greenMe avevamo lanciato la campagna social #svestilafrutta proprio per denunciare l’abuso di utilizzo di plastica. Da lì poi altre associazioni hanno abbracciato la nostra idea per impattare meno sull’ambiente.

Eppure nonostante le denunce e il fatto che la plastica non sia sempre garanzia di mantenimento dell’integrità di un prodotto, gli imballaggi stanno ancora lì. Perché? Innanzitutto perché produrre la plastica costa poco e perché alla fine le lobby che la producono vincono sempre. Basti pensare, come denuncia Marevivo, che c’è stato un nuovo rinvio della Plastic Tax.

Ma il passato ci rimanda al fatto che “l’imposta sul consumo della plastica monouso, che doveva inizialmente entrare in vigore nell’estate 2020 e rinviata per la pandemia, sarebbe finalmente dovuta partire il 1 gennaio 2022, con l’obiettivo di ridurre l’utilizzo di prodotti di plastica e, conseguentemente, di portare a un calo progressivo della produzione della stessa, incentivando le aziende produttrici a convertire la produzione in altro”.

Cos’è la Plastic Tax

La Plastic Tax è una tassa del valore fisso di 0,45 centesimi di euro per ogni chilo di prodotti di plastica monouso venduto (i cosiddetti MACSI). Come spiega Confcommercio, l’imposta, prevista dalla Legge di Bilancio 2020, si applica al consumo dei manufatti realizzati con materiale plastico aventi funzione di contenimento, protezione, manipolazione o consegna di merci ovvero prodotti alimentari (anche in forma di fogli, pellicole o strisce) che siano stati ideati ed immessi sul mercato per un singolo impiego.

Prodotti, dunque, che non siano progettati per essere riutilizzati, o per compiere più trasferimenti durante il loro ciclo di vita.

“Con il rinvio della Plastic Tax nazionale- spiega Marevivo- si continuerà a coprire un costo legato al settore della plastica (il gettito della plastic tax europea) con fondi pubblici del budget nazionale, senza incentivare la filiera della produzione a una transizione verso un’economia più circolare”.

Secondo l’associazione, l’Italia – nel 2018 – ha prodotto 2,3 milioni di tonnellate di rifiuti d’imballaggio di plastica, il 44,6% delle quali sono state destinate al riciclo, rappresentando il secondo Paese consumatore di plastica a livello europeo. Quella degli imballaggi è la prima fonte d’impiego delle materie plastiche: un primato pericoloso, dal momento che per la produzione di un kg di plastica vengono emessi quasi 2 kg di CO2 in atmosfera e che ogni anno finiscono in mare circa 570 mila tonnellate di plastica.

“Non ci basta sapere che l’equivalente di un camion di rifiuti finisce in mare ogni minuto? Non ci basta assistere alla morte di milioni di animali e all’impoverimento degli ecosistemi e riscontrare che la plastica è nel cibo degli alimenti che mangiamo, nell’acqua che beviamo, nell’aria che respiriamo, nel sale che usiamo? Non ci basta aver trovato microplastiche perfino nei tessuti della placenta delle donne? Cosa stiamo ancora aspettando?”, spiega Rosalba Giugni, Presidente di Marevivo Onlus.

Seguici su Telegram Instagram | Facebook TikTok Youtube

Fonti: El PAIS/La Vanguardia/Mare Vivo

Leggi anche:

 

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Instagram