Troppi escrementi umani sull’Everest: ecco il dispositivo che promette di risolvere il problema

Sono sull’Everest le feci più alte del mondo (o quasi). Non è una battuta, e nemmeno troppo un’iperbole. Sulla famosa vetta dell’Himalaya c’è un vero e proprio incubo ambientale, dovuto all’accumulo incontrollato di feci di alpinisti. Che però potrebbe essere risolto dal progetto Mount Everest Biogas Project, dell‘Università di Kathmandu (Nepal) in collaborazione con quella di Seattle (Usa), che mira a produrre biogas proprio con quegli escrementi

Sono sull’Everest le feci più alte del mondo (o quasi). Non è una battuta, e nemmeno troppo un’iperbole. Sulla famosa vetta dell’Himalaya c’è un vero e proprio incubo ambientale, dovuto all’accumulo incontrollato di feci di alpinisti. Che però potrebbe essere risolto dal progetto Mount Everest Biogas Project, dell‘Università di Kathmandu (Nepal) in collaborazione con quella di Seattle (Usa), che mira a produrre biogas proprio con quegli escrementi.

Dal 1953 al 2016 quasi 4.500 persone provenienti da tutto il mondo hanno seguito le orme di Tenzing Norgay e Edmund Hillary che per primi scalarono la vetta alta 8848 m, per un totale di circa 7.600 arrivi in cima. Il 2017, poi, è stata una stagione da record: 375 scalatori hanno infatti raggiunto il punto più alto del monte, mai così tanti dal 1953. E tanti esseri umani significano tanti escrementi.

Il campo base dell’Everest da cui partono le arrampicate, sul ghiacciaio del Khumbu, è infatti diventato una sorta di “villaggio”, dove centinaia scalatori si accampano in vista dell’impresa. Per massimo tre mesi all’anno, ma già sufficienti a creare un vero e proprio incubo ambientale: infatti nel sito si registrano 12 tonnellate di feci umane all’anno, che stanno mettendo a serio rischio le fonti di acqua pulita.

Naturalmente i governi si sono attivati da tempo: il Nepal ha emanato regolamenti nel 1991 per imporre la rimozione dei rifiuti ed è stato creato un comitato di controllo dell’inquinamento per gestire la protezione ambientale del Parco nazionale del Monte Everest. Tuttavia, a causa della natura remota dell’area, non è stata ancora trovata una soluzione per il trattamento o lo smaltimento sicuro delle feci umane.

Da qui l’idea del progetto Mount Everest Biogas Project: usare gli escrementi come materiale di ingresso di un digestore anaerobico in grado di produrre biogas. “È un adattamento creativo della tecnologia esistente del digestore di biogassi legge sul sito del progettocon modifiche personalizzate per il funzionamento in alta quota e a temperature estremamente basse. Inoltre utilizza solo rifiuti umani come combustibile di partenza”.

Entrambe le caratteristiche sono delle vere e proprie sfide scientifiche: infatti le condizioni “estreme” nelle quali sarà posizionato il digestore rendono la conversione in biogas meno favorevole e, per di più, le feci umane sono un tipo di rifiuto che produce meno gas metano rispetto a quello prodotto utilizzando rifiuti di origine animale.

Per affrontare queste difficoltà, il team degli scienziati ha tentato diverse strade: attualmente il design del digestore prevede un ambiente controllato di temperatura, ottenuto tramite una protezione, a sua volta coperta di materiale isolante.

E per coerenza con gli obbiettivi green, l’energia necessaria al funzionamento dell’apparecchiatura è ottenuta tramite pannelli fotovoltaici e immagazzinata in opportune batterie per compensare eventuali giornate prive di sole e le ore notturne.

everest feci

Foto: Posizione del digestore

Nel 2016 i test di laboratorio su un mini digestore, eseguiti utilizzando campioni di rifiuti umani dal campo base dell’Everest alle temperature previste, hanno avuto successo.

Non è il primo progetto che mira ad utilizzare le feci come fonte energetica (indubbiamente rinnovabile, almeno finchè esisterà la specie umana), ma è il primo in un ambiente così complicato. E attualmente sta ora raccogliendo fondi per l’implementazione del digestore in loco, cosa che dovrebbe costare intorno a 430000 euro.

Non si butta niente, mai.

Roberta De Carolis

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