La plastica ormai è ovunque. Anche negli angoli più remoti del mondo, come nella Fossa delle Marianne, sono stati scovati rifiuti. A confermarlo è stato il ritrovamento di quella che è stata ribattezzata come la borsa di plastica più profonda della Terra
La plastica ormai è ovunque. Anche negli angoli più remoti del mondo, come nella Fossa delle Marianne, sono stati scovati rifiuti. A confermarlo è stato il ritrovamento di quella che è stata ribattezzata come la borsa di plastica più profonda della Terra.
A scoprirla sono stati gli scienziati della Japan Agency for Marine-Earth Science and Technology (JAMSTEC). A 10.898 m nella fossa oceanica più profonda del mondo, essi hanno individuato uno dei 3000 pezzi di detriti risalenti addirittura a 30 anni fa.
Numerosi team internazionali stanno studiando i fondali oceanici per scoprire cosa c’è sotto, contribuendo ad aggiornare un database. Il Centro dati oceanografico globale (GODAC) dell’Agenzia giapponese ha lanciato il database per uso pubblico nel marzo 2017. Al suo interno, vengono archiviate fotografie e video di detriti raccolti dal 1983 da sommergibili sottomarini e veicoli telecomandati.
La ricerca, pubblicata su Marine Policy, fornisce i dati relativi all’inquinamento marino sulla base delle informazioni provenienti dal database e mostra come le attività umane nel corso dei decenni abbiano danneggiato anche gli ecosistemi delle profondità marine.
Nel corso delle 5010 immersioni e utilizzando veicoli remoti in acque profonde sono stati trovati 3425 detriti artificiali tra cui plastica, metallo, gomma e attrezzi da pesca. Oltre un terzo erano di grandi dimensioni (macroplastiche), tra questi l’89% era costituito da prodotti monouso. Nelle aree più profonde di 6000 m, oltre la metà dei detriti era di plastica, quasi tutti monouso.
Parlando in termini di densità, ossia di quantità di plastica per kmq, gli scienziati hanno rilevato da 17 a 335 rifiuti per kmq a profondità varie tra 1092 e 5977m.
“I dati mostrano che, oltre allo sfruttamento delle risorse e allo sviluppo industriale, l’influenza delle attività umane terrestri ha raggiunto le parti più profonde dell’oceano in aree a più di 1000 km dalla terraferma” spiega il team.
Una volta in mare aperto, la plastica può sopravvivere per migliaia di anni. Gli ecosistemi delle acque profonde sono altamente endemici e hanno un tasso di crescita molto lento, quindi le potenziali minacce legate all’inquinamento plastico sono ancora più preoccupanti. Senza contare che questi ecosistemi sono già duramente provati dallo sfruttamento diretto di risorse biologiche e non biologiche, ad esempio dalla pesca a strascico e dallo sfruttamento delle risorse minerarie.
Foto: Unep
“L’onnipresente distribuzione di plastica monouso, anche nelle più grandi profondità dell’oceano, rivela un chiaro legame tra le attività umane quotidiane e gli ambienti più remoti. Ridurre la produzione di rifiuti di plastica sembra essere l’unica soluzione al problema dell’inquinamento in acque profonde. È necessaria una rete di monitoraggio globale per condividere i dati limitati sull’inquinamento plastico in acque profonde e le rilevazioni di impatto dovrebbero essere prioritarie per aree biologicamente ed ecologicamente importanti con elevate concentrazioni di detriti di plastica e per utilizzare i modelli di circolazione oceanica e identificare il modo in cui la plastica viaggia dalla terra alle profondità marine” aggiunge l’Unep.
Siamo riusciti a raggiungere con la nostra sporcizia anche le zone più remote della Terra. Possiamo ancora fare qualcosa per limitare i danni, riducendo il nostro uso di plastica.
Plastics are now showing up in the very deepest, most remote parts of our planet. This plastic bag was found at the bottom of the Mariana Trench, nearly 11km under water.
It's time to #BreakFreeFromPlastics. Retweet if you agree. https://t.co/18RZyUIA4K pic.twitter.com/95Rts4vDyg
— Greenpeace East Asia (@GreenpeaceEAsia) May 10, 2018
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