Referendum trivelle. Mancano ormai poche ore. Poi gli italiani saranno chiamati alle urne per votare a favore o contro il rinnovo delle concessioni e dei permessi di ricerca entro le 12 miglia. Ma la situazione alla vigilia del referendum è tutt'altro che serena
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. Mancano ormai poche ore. Poi gli italiani saranno chiamati alle urne per votare a favore o contro il rinnovo delle concessioni e dei permessi di ricerca entro le 12 miglia. Ma la situazione alla vigilia del referendum del 17 aprile è tutt’altro che serena.
È emerso infatti che alcune compagnie petrolifere avrebbero operato pur non avendo tutte le carte in regola per farlo. Secondo quanto illustrato dal Comitato No triv, 9 delle 44 concessioni oggetto del referendum sarebbero scadute e alcune addirittura da anni.
Le istanze di proroga erano state presentate ma il Ministero dello sviluppo economico non si era ancora espresso. Da lì la decisione delle compagnie di operare comunque. Per questo i NoTriv chiedono la rimozione dei responsabili.
“Il Governo Renzi deve rispondere al Paese di quanto è accaduto. Davanti a un fatto di tale gravità è doverosa la rimozione del responsabile della direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, Franco Terlizzese” ha detto Enrico Gagliano del Coordinamento Nazionale dei No Triv, secondo cui il Mise non ha fatto le verifiche necessarie e un “provvedimento amministrativo deve essere espresso, non può essere tacito”.
Nel frattempo, l’Europa potrebbe avviare una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. L’articolo della Legge di Stabilità che consente alle compagnie petrolifere di prolungare le concessioni “per la durata di vita utile del giacimento”, potrebbe essere illegittimo. Lo stesso articolo su cui gli italiani sono chiamati a votare domenica.
“L’Italia rischia una potenziale infrazione che elude le regole del diritto UE sulla libera concorrenza” sostiene l’interrogazione inviata alla Commissione europea dall’europarlamentare Barbara Spinelli.
Secondo Spinelli questa norma è sospetta di illegittimità poiché una durata a tempo indeterminato delle concessioni violerebbe le regole del diritto UE sulla libera concorrenza.
Ciò che l’europarlamentare chiede è di valutare l’eventuale violazione della “Convenzione di Aarhus e la direttiva 94/22/CE relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi” e se l’Europa intende avviare una procedura di infrazione contro l’Italia, spingendo il governo a modificare il comma.
“La politica governativa è fortemente sbilanciata a favore degli interessi delle compagnie petrolifere, mentre si dimostra per nulla incline a massimizzare l’interesse pubblico e dei cittadini” ha commentato Barbara Radich del Coordinamento Nazionale No Triv.
Un parere sul referendum è arrivato anche dal mondo della scienza. Alcuni esponenti autorevoli sono scesi in campo a favore del Sì con un appello, sottoscritto finora da 50 firmatari:
“Votiamo sì perché vogliamo che il governo intraprenda con decisione la strada della transizione energetica per favorire la ricerca e la diffusione di tecnologie e fonti energetiche che ci liberino dalla dipendenza dai combustibili fossili” scrivono. “Ci sono precise ragioni energetiche, economiche, occupazionali, ambientali, etiche e culturali che ci obbligano a sottolineare che è interesse di tutti muoversi con lungimiranza e determinazione verso una società sempre più libera dall’utilizzo dei combustibili fossili”.
Tra i firmatari: Gianni Silvestrini, Direttore scientifico Kyoto Club; Luca Mercalli, Presidente Società Italiana di Meteorologia; Flavia Marzano, Professore Metodologie e tecniche della ricerca sociale alla Link Campus University; Giorgio Parisi, professore ordinario di Teorie quantistiche all’Università Sapienza di Roma e Accademico dei Lincei; Vincenzo Balzani, Professore emerito dell’Università di Bologna e Accademico dei Lincei; Mario Tozzi, geologo, Primo ricercatore CNR; Enzo Boschi, già Presidente Istituto Nazionale Geofisica e Vulcanologia (INGV) e professore Geofisica della Terra Università di Bologna; Marcello Buiatti, già Professore di Genetica all’Università di Firenze; Stefano Caserini, Professore mitigazione del cambiamento climatico al Politecnico di Milano e Coordinatore di Climalteranti.it.
Il WWF invece ha stilato un decalogo di falsi miti da sfatare in vista del referendum sulle trivelle. L’ennesima dimostrazione che non tutte le informazioni circolate in questi mesi si sono rivelate attendibili ma spesso hanno sollevato tanti dubbi.
Eccole qui di seguito:
Quesito troppo tecnico
Non è così. Precisa l’associazione che è stato il Governo a introdurre nella Legge di Stabilità 2016 la norma che chiede di non tenere conto del termine delle concessioni offshore entro la fascia delle 12 miglia vietata alle trivellazioni. Dal canto suo, la Corte Costituzionale ha deciso di sottoporla al referendum popolare. Tutto qui.
Voto irrilevante
Tutt’altro se si considera che quelle che si intendono prorogare con la vittoria del no e con l’astensionismo sono le concessioni a 88 piattaforme che per il 48% ha più di 40 anni di età e che per il 35% viene classificato “non erogante”.
Tutto bene per l’ambiente
Secondo il WWF quasi la metà delle piattaforme per l’estrazione di gas e petrolio (42 su 88) entro la fascia delle 12 miglia, è stata costruita prima del 1986 (data di entrate in vigore in Italia della VIA) e quindi mai sottoposte a Valutazione di Impatto Ambientale.
Non c’è alcun rischio di incidente
Sicuri sicuri? Eppure dal 1955 ad oggi (secondo i dati SINTEF – Offhsore Blowout Database) ci sono stati 573 sversamenti di petrolio in tutto il mondo. Deepwater Horizon vi ricorda qualcosa? Di recente è stato stimato che i danni provocati dal disastro ambientale del Golfo del Messico sono pari a 20 miliardi di dollari.
Le attività di estrazione offshore non inquinano
Che dire della tecnica dell’air gun utilizzata nella fase di ricerca geosismica? Queste esplosioni sottomarine possono provocare danni permanenti ai cetacei o la loro morte. Per non parlare della fase di estrazione in cui può verificarsi l’abbassamento dei fondali e l’erosione delle spiagge.
Per approfondire: TRIVELLE FUORILEGGE: ECCO COME LE PIATTAFORME ITALIANE INQUINANO ACQUA E AMBIENTE (E PERCHÉ VOTARE SI)
Lo Stato ci guadagna
Come dimostrato dal WWF solo 18 (21%) delle 69 concessioni off-shore pagano le royalty del 7% sul valore del petrolio e del 10% sul valore del gas estratto in mare. Su 53 aziende estrattive solo 8, sono quelle che pagano le royalty allo Stato e alle Regioni. Chi ne giova allora? Solo le lobby del petrolio a quanto sembra…
Aumenta l’occupazione
Tutti indignati della perdita dei posti di lavoro che comunque erano nati con un “termine” se si considera che le concessioni e i permessi oggetto del referendum andrebbero solo ad estendere qualcosa che comunque aveva già una data di scadenza prefissata. Eppure nessuno ha ascoltato la voce di Assorinnovabili secondo cui solo il decreto Spalma Incentivi ha fatto perdere almeno 10mila posti di lavoro nel settore del fotovoltaico. Eppure le attività estrattive mettono a rischio qualcosa come 47mila aziende turistiche costiere e 60mila posti di lavoro nella pesca. Numeri che dovrebbero almeno far riflettere.
Per approfondire: REFERENDUM TRIVELLE: TUTTE LE BUFALE DI CHI È A FAVORE DELLE FONTI FOSSILI
La biodiversità prospera
Le sostanze inquinanti prodotte a regime, e a maggior ragione in caso di incidente, sono pericolose o tossiche spiega il WWF. Gli idrocarburi policiclici aromatici contenuti nel greggio hanno effetti cancerogeni e mutageni.
Le scelte istituzionali sono meditate
Eppure è dal 1988 che in Italia non viene fatto un Piano Energetico Nazionale. “La Strategia Energetica Nazionale pro-fossili del 2013 è nata morta e non ha mai avuto alcuna credibilità. Nella Legge di Stabilità 2016 è stato cancellato il Piano delle aree per lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi che doveva essere sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica (VAS)” spiega l’associazione.
Le fonti fossili sono fondamentali
Ma i numeri del Ministero dello Sviluppo Economico dicono il contrario: le riserve di petrolio individuate in mare coprirebbero il fabbisogno energetico nazionale per sole 7 settimane e le piattaforme offshore entro le 12 miglia producono solo l’1,9% del fabbisogno nazionale di gas.
Serve sapere altro?
Francesca Mancuso
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