Tuttora in fase sperimentale nell'impianto Enel di Brindisi, il carbon capture & storage (CCS) – o più semplicemente stoccaggio della CO2 – potrebbe diventare presto una realtà in tutta la penisola. Per chi non lo sapesse, si tratta di una tecnica che permette di “sequestrare” la CO2, trasportarla in siti idonei (ex-giacimenti di idrocarburi, formazioni porose nel sottosuolo e via dicendo) e infine stoccarla per qualche centinaio di anni.
Tuttora in fase sperimentale nell’impianto , il carbon capture & storage (CCS) – o più semplicemente stoccaggio della CO2 – potrebbe diventare presto una realtà in tutta la penisola. Per chi non lo sapesse, si tratta di una tecnica che permette di “sequestrare” la CO2, trasportarla in siti idonei (ex-giacimenti di idrocarburi, formazioni porose nel sottosuolo e via dicendo) e infine stoccarla per qualche centinaio di anni.
La decisione di recepire l’apposita direttiva comunitaria 2009/31/CE è stata presa oggi dal Consiglio dei Ministri e istituisce una volta per tutte tramite apposito decreto un quadro giuridico per la gestione dei siti, le licenze d’esplorazione, il monitoraggio e il trasporto, in modo “da prevenire e, qualora ciò non sia possibile, eliminare il più possibile gli effetti negativi e qualsiasi rischio per l’ambiente e la salute umana”.
Una simile tecnica, infatti, può creare qualche problema in caso di fughe di gas, essendo il biossido di carbonio pericoloso per qualsiasi forma di vita dotata di polmoni, tipo l’uomo. Tuttavia, come noto, lo stesso biossido di carbonio è anche il più diffuso gas a effetto serra, prodotto ogni giorno in quantità vergognosamente alte da automobili e fabbriche di tutto il mondo. Quindi, causa cambiamento climatico, è necessario e doveroso fare il possibile perché non finisca in atmosfera. E questo spiega la soddisfazione espressa dal Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo in proposito: [la tecnologia del CSS] potrà ridurre significativamente il nostro ‘debito’ di CO2 e aiutarci a raggiungere gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni (-20% al 2020)”.
Non spiega però quale disegno ci sia dietro queste parole, visto che un “aiuto” del genere si poteva ottenere in mille altri modi. Ad esempio, evitando di approvare un decreto sulle rinnovabili, quello del ministro Romani, ribattezzato dalle associazioni di categoria “l’ammazza-rinnovabili”, continuando invece a investire sull’energia rinnovabile. Oppure smettendola di investire sulle grandi opere, puntando piuttosto su un sistema di trasporti, quello ferroviario, che rispetto alle quattro ruote (o sei, o otto, o dieci…) produce meno della metà di CO2. Evidentemente un piano coerente, attivo, coraggioso, ecc… non c’è. L’unica strategia sembra quella di approvare le normative europee quando ormai non si può fare altrimenti. E poi, col microfono in pugno, spacciarle come buoni propositi.
Roberto Zambon