Da una parte Wwf, Greenpeace, Italia Nostra e varie associazioni di operatori turistici, dall'altra lo Stato e la società di energia più grande del paese, l'Enel. In mezzo loro, gli operai, il cui interesse principale non è né l'ambiente né il fatturato, ma un lavoro che, se non dà la felicità, dia almeno un po' di benessere a se stessi e alla famiglia. A Porto Tolle la protesta degli operai non è altro che la giusta reazione in difesa di questo interesse, messo in pericolo dagli ambientalisti e da una sentenza che – forse – lo Stato avrebbe potuto evitare. Come? Investendo nelle energie rinnovabili e in quei green jobs che ora farebbero tanto comodo.
Da una parte Wwf, Greenpeace, Italia Nostra e varie associazioni di operatori turistici, dall’altra lo Stato e la società di energia più grande del paese, l’Enel. In mezzo loro, gli operai, il cui interesse principale non è né l’ambiente né il fatturato, ma un lavoro che, se non dà la felicità, dia almeno un po’ di benessere a se stessi e alla famiglia. A Porto Tolle la protesta degli operai non è altro che la giusta reazione in difesa di questo interesse, messo in pericolo dagli ambientalisti e da una sentenza che – forse – lo Stato avrebbe potuto evitare. Come? Investendo nelle energie rinnovabili e in quei green jobs che ora farebbero tanto comodo.
La storia è presto detta: il 29 luglio 2009 il Ministero dell’Ambiente guidato da Stefania Prestigiacomo dà parere positivo al progetto di riconversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle. Decisione confermata il 6 giugno 2010 dalla sentenza del Tar del Lazio, che respinge il primo ricorso di associazioni ambientaliste e operatori turistici, preoccupati delle possibili ripercussioni sull’ecosistema circostante. Segue – 5 gennaio 2011 – il decreto con cui il Ministero dello Sviluppo economico ribadisce l’ “Autorizzazione Unica alla società Enel” a procedere con l’apertura dei cantieri. E ieri la sentenza: la sesta sezione del Consiglio di Stato – presieduta da Rosanna De Nictolis – accoglie il ricorso e annulla il decreto firmato dalla Prestigiacomo.
Ieri mattina gli inevitabili striscioni di protesta da parte degli operai: “un consiglio (di Stato): giù le mani dalla centrale” e “Zaia a Roma con noi”. Erano infatti già 52 le gare d’appalto in arrivo con l’apertura del cantiere prevista per il prossimo ottobre/dicembre, per un valore complessivo di 1,8 miliardi di euro. Bei soldi, visti i tempi che corrono. “Chiediamo che l’Enel continui a investire in Italia. All’estero mandiamo gli ambientalisti” tuona il portavoce del Comitato lavoratori Maurizio Ferro “scoprirebbero che metà dell’energia europea è fatta con il carbone. Basta ecoballe: il progetto a carbone è compatibile con l’ambiente”. In realtà esso è compatibile – secondo Tar del Lazio, Ministero dell’Ambiente e via dicendo – con i limiti previsti dalla legge vigente. Ma il punto è un altro: perché si è giunti a questa situazione?
La colpa, senza dubbio, è della scarsissima lungimiranza di chi è al governo oggi e di chi lo era ieri. Una politica energetica come quella tedesca, che per anni ha investito nelle rinnovabili, avrebbe creato molti più posti di lavoro (i cosiddetti green jobs) di una centrale a carbone, mezzo di riscaldamento e produzione, il carbone, tanto diffuso quanto obsoleto. A dirlo, in parte, è anche il Presidente del Wwf Italia Sergio Leoni: “È ora che la politica energetica italiana si affranchi dagli interessi di parte, che siano il nucleare o il carbone. Il futuro è nell’efficienza energetica e nelle rinnovabili”. Un futuro che, se non vincerà il referendum del 12-13 giugno, somiglierà terribilmente al presente.
Roberto Zambon
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