Abbiamo solo qualche decina d'anni prima che i danni provocati da questo materiale agli ecosistemi marini siano irreparabili
Un nuovo studio sulla plastica negli oceani lancia l’allarme: abbiamo solo qualche decina d’anni prima che i danni provocati da questo materiale agli ecosistemi marini siano irreparabili.
Sviluppata nel XIX secolo, la plastica ha conosciuto un boom nella sua produzione nel secolo scorso e in quello che stiamo vivendo, passando da una produzione annuale di 2 milioni di tonnellate nel 1950 a 348 tonnellate nel 2017. Si stima che la presenza di questo materiale raddoppierà entro il 2040 – a danno di tutti gli ecosistemi, ma soprattutto degli oceani, che finiranno per ospitare più oggetti in plastica che pesci.
Un nuovo report diffuso dall’associazione Pew Charitable Trusts sostiene che ci restano solo 29 anni per abbattere i livelli di produzione di plastica se vogliamo salvare gli oceani: l’anno 2050 è il limite che si è imposta l’Unione Europea (insieme ad altri 19 paesi nel mondo) per raggiungere la neutralità climatica e per eliminare del tutto la produzione e il consumo di plastica. Si tratta di un’analisi a livello globale che utilizza dei modelli di previsione dei nostri comportamenti come consumatori e che mostra che possiamo interrompere l’inondazione degli oceani con oggetti di plastica dell’80% nei prossimi 20 anni, utilizzando le tecnologie e le soluzioni già esistenti.
Non basta però l’iniziativa dei singoli o l’utilizzo di un’unica soluzione per salvare gli oceani: c’è bisogno dell’impegno di tutti, multinazionali e governi di tutto il mondo, impegnati nel comune sforzo della lotta alla plastica. Innanzitutto c’è bisogno di ridurre l’utilizzo di plastica nelle nostre vite, per esempio sostituendo questo materiale con altri più sostenibili. Poi dobbiamo migliorare le nostre pratiche di smaltimento e riciclo dei rifiuti plastici, rigenerando i prodotti usati a utilizzandoli per crearne di nuovi.
(Leggi anche: “Le plastiche biodegradabili sono una falsa soluzione”: un gruppo di ONG trascina l’Italia davanti alla Commissione europea)
Il progetto Breaking the Plastic Wave richiede l’aiuto di tutte le nazioni, ma ognuno può dare il proprio contributo in modo diverso. Da una parte, i paesi poco sviluppati dal punto di vista economico dovrebbero migliorare i metodi di raccolta della plastica e sostituirla il più possibile con materiali diversi, investendo al contempo in strutture per lo stoccaggio e il riciclo. Le nazioni più ricche, invece, dovrebbero incentivare la riduzione dell’uso della plastica e smettere di esportare rifiuti nelle aree più povere del mondo – si legge nel report.
Purtroppo, però, l’umanità è tutt’altro che vicina al raggiungimento di questo ambizioso obiettivo, secondo il report, che propone otto step per ribaltare la situazione:
- Ridurre la crescita nei consumi di plastica
- Sostituire la plastica con materiali alternativi più sostenibili
- Produrre oggetti e packaging già pensati per essere riciclati
- Aumentare i livelli di raccolta e differenziazione dei rifiuti nei paesi del Sud del mondo
- Aumentare la capacità di riciclo della plastica a livello mondiale
- Aumentare la capacità di conversione chimica
- Creare impianti di smaltimento rifiuti sicuri
- Ridurre le esportazioni di plastica verso i paesi poveri
Fonte: Breaking the Plastic Wave
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