PFAS tossici, gli investitori chiedono alle aziende di non produrli più: le cause legali costano troppo

Potrebbero essere le cause legali sui composti PFAS legate al cancro e ad altre malattie la molla che potrebbe far scattare una volta per tutte lo stop definitivo alle sostanze tossiche

Le cause legali sui composti PFAS legate al cancro e ad altre malattie rappresentano una minaccia crescente per i profitti e per questo i gestori patrimoniali di alcune delle più grandi aziende del mondo stanno facendo pressione sulle aziende chimiche per porre fine alla produzione di PFAS tossici, le “sostanze chimiche per sempre”.

Ormai ci è chiaro: i PFAS sono una classe di circa 12mila composti tipicamente utilizzati per rendere i prodotti resistenti all’acqua, alle macchie e al calore. Sono chiamati “sostanze chimiche per sempre” perché non si degradano naturalmente e sono collegati a cancro, malattie renali, problemi al fegato, disturbi immunitari, difetti alla nascita e altri gravi problemi di salute.

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Ora, una lettera diffusa alla fine del 2022 e firmata da società di investimento in gran parte dell’Unione europea che detengono attività per 8 trilioni di dollari cita un vero e proprio tsunami di recenti controversie intentate contro i produttori di PFAS, una regolamentazione sempre crescente che impone limiti rigorosi all’uso delle sostanze chimiche.

Così  Storebrand e Aviva hanno riunito i maggiori investitori e sottoscritto una lettera inviata ai CEO delle 54 aziende chimiche più grandi del mondo.

La cattiva gestione di queste risorse può avere importanti ricadute sulla redditività delle aziende e gli investitori non ci stanno: le normative si fanno più stringenti, il rischio di sanzioni pecuniarie più elevato, i costi per la produzione sicura più alti, si legge nella lettera.

Vi incoraggiamo a guidare, non essere guidati, eliminando gradualmente e sostituendo queste sostanze chimiche. Oltre ai rischi finanziari associati ai contenziosi, i produttori di sostanze chimiche persistenti affrontano il rischio di un aumento dei costi associato alla riformulazione dei prodotti e alla modifica dei processi, che possono avere implicazioni significative per le prestazioni aziendali.

L’obiettivo degli investitori è portare maggiore trasparenza nella produzione di quelle sostanze e condurre l’industria chimica verso una loro graduale eliminazione soprattutto alla luce dei conclamati effetti sulla salute umana e sulla biodiversità. Elementi che, per altro, a causa di una maggiore diffusione di consapevolezza, hanno portato a una serie di costose azioni legali contro le aziende produttrici, quindi a ulteriori perdite economiche.

La classifica

La lettera riporta i dati prodotti dalle analisi dell’organizzazione ambientalista Chemsec, che ha esaminato le 54 aziende chimiche più grandi al mondo creando una ChemScore, una vera e propria classifica di sostenibilità delle aziende basate sulla gestione delle sostanze chimiche inquinanti persistenti come gli PFAS.

Per noi investitori – dicono – è importante che le aziende chimiche affrontino il problema, anche dal punto di vista del rischio”. Tra i firmatari ci sono 47 grandi gestori patrimoniali distribuiti in tutto il mondo, come una serie di fondi pensione svedesi, e molte banche. Solo lo scorso anno erano in tutto 23, con un asset di gestione patrimoniale di 4.000 miliardi di dollari: nel 2022 è raddoppiato.

La lettera potrebbe, leggendo ora i numeri, essere uno strumento efficace: 36 delle 54 aziende firmatarie hanno contestualmente migliorato il proprio punteggio nel ChemScore. Cambierà davvero qualcosa?

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Fonte: ChemScore

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