La dura campagna di denuncia contro la pesca illegale di Greenpeace continua. Questa volta il blitz ha dato del filo da torcere alla polizia taiwanese che, dopo tre ore di blocco di un cargo frigo nel porto di Kaoshiung, è riuscita ad arrestare una delle attiviste appese all'ancora della gigantesca nave “pirata”.
La dura campagna di denuncia contro la pesca illegale di Greenpeace continua. Questa volta il blitz ha dato del filo da torcere alla polizia taiwanese che, dopo tre ore di blocco di un cargo frigo nel porto di Kaoshiung, è riuscita ad arrestare una delle attiviste appese all’ancora della gigantesca nave “pirata”.
Il cargo frigo, impiegato per il trasporto di tonno pescato nell’Oceano Pacifico e destinato al mercato internazionale batteva bandiera di Vanuatu pur essendo di proprietà di una compagnia di Taiwan. A rigor di logica, la nave avrebbe dovuto essere registrata a Taiwan, e non in remote repubbliche del Pacifico meridionale, ma a detta degli ambientalisti la cosa non è andata così.
È l’ennesimo caso di pesca pirata, perché “Quella di Vanuatu è notoriamente una “bandiera ombra” – afferma Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace – e questa nave è già stata coinvolta in episodi di pesca illegale. Il fatto che si trovi in un porto in Taiwan violando palesemente le regole imposte dall’Agenzia della Pesca di questo Paese, non dà alcuna garanzia che rispetterà quelle poche norme già decise per tutelare gli stock di tonno“.
Insieme ai pescherecci illegali, i cargo frigo contribuiscono pesantemente alla distruzione degli stock di tonno del Pacifico. La dinamica è semplice e truffaldina: i pescherecci pirata, che in acque internazionali saccheggiano gli oceani, passano il bottino ai cargo in alto mare, senza alcun controllo. Così la pesca illegale non viene fermata e l’estinzione del tonno obeso e di quello pinna gialla avanza inesorabile.
Con l’azione di oggi Greenpeace chiede all’Agenzia per la Pesca di Taiwan di aprire un’indagine a carico dei proprietari della nave e mettere in atto gli adeguati provvedimenti in caso di confermata irregolarità.
E l’appello di Giorgia Monti è rivolto anche alle aziende del tonno in scatola: “È ora che non solo i governi impongano regole e controlli più severi per porre fine alla pesca pirata, ma che siano proprio le grandi aziende produttrici del tonno in scatola a rifiutare questi prodotti“, ha dichiarato.
Passando da Taiwan all’Italia, la situazione non è delle migliori. Vi ricordate la classifica nera del NOAA, pubblicata di recente? Siamo finiti tra i peggiori dei presenti all’appello.
Greenpeace lavora da oltre un anno con le maggiori industrie conserviere, anche nel Belpaese. La classifica “Rompiscatole” ne è un esempio.
L’associazione è fortemente convinta che un impegno preciso delle aziende a non comprare tonno trasbordato in mare, o pescato da pescherecci di compagnie coinvolte in episodi di pesca illegale, potrebbe porre un limite a questo scempio. Sono i consumatori che possono fare la differenza e, a salire, i grandi marchi come Mareblu o Esselunga, che hanno già iniziato a impegnarsi in questo senso, con i primi risultati.
Ora Greenpeace aspetta passi importanti dall’azienda leader del mercato mondiale del tonno in scatola, la Bolton alimentari del più famoso tonno Riomare.
Serena Bianchi