Tutti i documenti portati alla luce da un attivista climatico olandese potrebbero essere fonti preziose nei contenziosi. Cosa significa? Che la Shell potrebbe essere messa alle strette attraverso le sue stesse dichiarazioni
Una serie di file e documenti Shell risalenti ad anni fa e venuti alla luce da poco potrebbero definitivamente inchiodare la major petroliferae rafforzare le azioni legali che da anni le chiedono rispondere di danni climatici. Questo almeno è quanto auspica Vatan Hüzeir, attivista per il clima e dottorando in sociologia all’Università Erasmus di Rotterdam, che ha portato a galla molti documenti dopo cinque anni di ricerca, raccogliendo migliaia di pagine di materiale relativo alla Shell da archivi, ex dipendenti e altre fonti.
Esemplare uno fra tutti: il documento che mostra come la Shell era consapevole della possibilità che l’Europa occidentale potesse col tempo affrontare inverni più estremi a causa del riscaldamento globale. Scenario che, però, secondo gli scienziati sostenuti dalla Shell, avrebber potuto far aumentare la domanda di energia nella stagione del riscaldamento. Et voilà.
Il suo “Dirty pearls: exposing Shell’s hidden legacy of climate change accountability, 1970-1990” è infatti un progetto di ricerca e analisi indipendente e approfondito di Changerism, volto a dimostrare che nel corso degli anni ’70 e ’80 la Shell avrebbe sviluppato strutturalmente una conoscenza interna precisa sul riscaldamento globale. Senza poi fare praticamente nulla.
Dirty Pearls (“Perle sporche”) si basa sull’analisi di ben 201 documenti, file di corrispondenza, immagini, rapporti, libri, lavori accademici e altri materiali, raccolti tra gennaio 2017 e ottobre 2022. Tutti provengono da ex dipendenti Shell e da persone vicine all’azienda e da archivi pubblici e privati in tutto il mondo. Alcuni sono confidenziali e, nel complesso, gli attivisti si augurano che questa immensa raccolta possa in qualche modo rafforzare le argomentazioni nelle controversie sul clima contro Shell.
I documenti scoperti che inchiodano Shell
Tra i dossier, c’è un articolo di giornale di settore del 1970 in cui la Shell sembra accettare la responsabilità dei danni causati dai suoi prodotti. Una serie di pubblicazioni della Shell degli anni ’80 e ’90 prevedono i “grandi cambiamenti negativi” che l’ “effetto serra” potrebbe causare danni al clima.
Così come un rapporto del 1998 spiega le ragioni della Shell addirittura nell’abbandonare la Global Climate Coalition un gruppo di lobby attivo formalmente dal 1989 al 2001 che cercò di assumere figure che fossero in grado di trovare una soluzione per poter continuare ad emettere senza limiti. Il documento mostra che Shell aveva piuttosto riconosciuto la necessità di adottare “misure precauzionali prudenti” per evitare gli impatti peggiori della crisi climatica, anche se continuava a spingere per una maggiore produzione di petrolio e gas.
Si teme che un ulteriore aumento dei livelli di anidride carbonica nell’atmosfera possa portare a un aumento della temperatura media superficiale sulla Terra, con conseguenze ambientali, sociali ed economiche di vasta portata, hanno scritto gli autori di una pubblicazione interna della Shell del 1987 intitolata “Inquinamento atmosferico: una prospettiva dell’industria petrolifera”.
E ancora:
Il riscaldamento globale potrebbe mettere a dura prova la struttura stessa dei sistemi ecologici ed economici del mondo”, scrisse il dirigente della Shell Ged Davis in un contributo a un rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) pubblicato due anni dopo.
Questi ultimi materiali si aggiungono a una prima tranche pubblicata nell’aprile dell’anno scorso che mostrava che, anche se la consapevolezza della Shell sulle conseguenze potenzialmente devastanti del cambiamento climatico cresceva durante gli anni ’70 e ’80, la società minimizzava o ometteva i rischi principali nelle comunicazioni pubbliche, spingendo per più combustibili fossili.
Shell e altre compagnie petrolifere e del gas sono state nominate imputate in dozzine di cause legali sul clima negli Stati Uniti intentate dai procuratori generali di stati come New Jersey, Vermont e California, così come Washington, DC. Alcuni di questi casi sono stati sottoposti a leggi sulla frode dei consumatori o sulla tutela che penalizzano le aziende per aver travisato i loro prodotti al pubblico.
Il Center for Climate Integrity con sede a Washington DC, che ha presentato memorie a sostegno di molti dei casi climatici contro Shell, ha affermato che gli ultimi documenti forniscono un’ulteriore prova che l’azienda sa da almeno mezzo secolo che i suoi prodotti rappresentano una minaccia al clima, nonché delle gravi conseguenze di un ritardo nell’azione.
Insomma, mentre la Shell in privato riconosceva i pericoli derivanti dall’utilizzo dei suoi prodotti, pubblicamente seminava dubbi sulla scienza e combatteva gli sforzi per regolare il proprio inquinamento. Assurdo.
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