Perché dobbiamo iniziare a preoccuparci delle co-estinzioni (e cosa c’entra il cambiamento climatico)

A che ritmi sta avanzando la perdita di biodiversità sulla Terra? La risposta è tutt'altro che rassicurante. Il nostro Pianeta, infatti, rischia di perdere oltre un decimo dei vertebrati terrestri (rettili, anfibi, mammiferi e uccelli) entro la fine del secolo. A metterci in guardia su questo drammatico scenario un nuovo studio, unico nel suo genere, che approfondisce la questione delle co-estinzioni di massa, di cui si parla ancora decisamente poco nonostante il loro pesante impatto sulla vita terrestre. A guidare la ricerca Giovanni Strona, ricercatore italiano presso il Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea. È proprio il dottor Strona a snocciolare su GreenMe i dati più interessanti emersi dallo studio e a spiegarci perché è così cruciale in questo momento storico.

Sebbene i media abbiano enfatizzato più il dato numerico della perdita di diversità, in realtà lo scopo originale dello studio era quello di esplorare i meccanismi che portano a tale perdita. Specialmente il ruolo delle interazioni ecologiche non è chiaro, per via del fatto che ottenere dati su reti trofiche e dipendenze fra specie a scala globale è sostanzialmente impossibile. Il nostro modello ovvia a questa limitazione, e offre quindi la possibilità di osservare in maniera dettagliata non soltanto le conseguenze dirette del cambiamento globale, ma anche gli effetti a cascata che si propagano da una specie all’altra.

Il modello non guarda alle specie in isolamento, ma guarda ai network trofici (la versione moderna e complessa della catena alimentare; di fatto un sistema di catene alimentari interconnesse fra di loro). Quando una specie va estinta in una località, per esempio perché non in grado di tollerare le temperature elevate o le precipitazioni troppo scarse, o la distruzione di habitat, il modello simula la risposta della rete trofica locale.

Le altre specie presenti riadattano la propria dieta in base alla specie che è andata (localmente) estinta. In alcuni casi questo non ha un impatto diretto sulla diversità locale, cioè la rete trofica trova un suo nuovo equilibrio. Ma in altri casi può accadere che l’estinzione “primaria” causi altre (co)estinzioni; queste sono in genere (co)estinzioni di predatori che rimangono senza prede, ma a volte sono anche co-estinzioni “top down” (causate dai piani alti della rete trofica a quelli bassi).

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Faccio un esempio dei due scenari. Immaginiamo una situazione in cui un predatore sia in grado di nutrirsi soltanto di una certa preda. Se questa preda scompare, anche il predatore scomparirà. Immaginiamo ora una situazione dove il predatore abbia preferenza per una certa preda, particolarmente abbondante e/o capace di riprodursi velocemente, ma in cui il predatore, all’occorrenza, possa mangiare anche altre prede. Nel caso in cui la preda preferita vada estinta, esiste la possibilità che il predatore rivolga le sue attenzioni ad un’altra preda, magari già oggetto di pressione predatoria da altri predatori. In questo caso, la preda potrebbe venire consumata troppo dal predatore, e andare estinta. La scomparsa della preda può avere altri effetti sugli altri predatori interessati e così via.

Questi meccanismi sono fondamentali, tra le altre cose, nel mediare le invasioni biologiche; in tal caso può avvenire molto spesso che una specie aliena entri in una rete trofica e la sconvolga secondo gli stessi meccanismi. Spesso una specie invasiva puo’ fare  incetta di una risorsa locale, portandola all’estinzione o causando indirettamente l’estinzione di altre specie native che fanno affidamento (e competono) per quella stessa risorsa.

Lo studio mostra che questi effetti secondari mediati dalle interazioni ecologiche sono cruciali nel processo di estinzione di massa in corso (e certamente anche nei precedenti). Il libro che ho scritto quest’anno, dal titolo “Percorsi nascosti verso l’estinzione” (Hidden Pathways to Extinction, edito da Springer), è esattamente centrato sul rivelare le cause invisibili della perdita di biodiversità.

Biodiversità: è importante conoscere non solo quanta ne perdiamo, ma come e perché

La rilevanza del nostro lavoro in questo momento storico è sia legata al fatto che lo studio mostra come meccanismi globali ad alta complessità possano essere in qualche modo esplorati grazie al facile accesso a risorse di calcolo fino a poco tempo fa eccezionali. In questo senso, il lavoro si pone come un apripista di studi simili, dimostrando che i dati oggi a disposizione, se usati a dovere, offrono i mezzi non soltanto per ottenere scenari futuri realistici ma anche, e soprattutto, per esplorare i processi che stanno dietro al collasso degli ecosistemi attualmente in corso. Cioè lo studio mostra che, parlando di perdita di biodiversità, non è importante solo il quanto (in termini per esempio di numero di specie che vanno estinte), ma anche il come e il perché.

Inoltre, avere proiezioni a relativamente corto raggio prospettano una situazione estremamente grave già nei prossimi decenni è un monito molto forte a raddoppiare gli sforzi per mitigare i danni. Ma per questo, focalizzarsi sulle specie come entità isolate, senza tener conto di come la sopravvivenza di una dipenda dalle interazioni con altre, sarebbe un errore grave.

Infine, il lavoro mostra come, sebbene la distruzione di habitat (in termini di cambiamento di uso del suolo) sia una gravissima causa di perdita di diversità, la globalità del cambiamento climatico, cioè la sua capacità di colpire gli ecosistemi a dispetto di quanto questi siano remoti e – solo apparentemente — al sicuro dall’uomo, avrà  un impatto sproporzionato. Questi risultati confermano quanto già avevamo visto per i pesci associate ai coralli in altri recenti lavori scientifici, dove abbiamo dimostrato come la perdita futura dei coralli potrà portare al declino del 40% dei pesci, e che le barriere coralline piu’ remote e isolate non saranno meno a rischio di quelle direttamente minacciatate dalle attivita’ umane. 

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