Ora sappiamo come fanno i fiori ad attirare api e insetti impollinatori (e non c’entra il profumo)

Come i fiori attraggono gli insetti impollinatori: lo studio dell'Università di Cambridge svela nuovi ed interessanti dettagli

Un recente studio condotto dai ricercatori del Sainsbury Laboratory dell’Università di Cambridge ha scoperto che alcuni fiori, come l’ibisco, utilizzano una sorta di “modello regolabile” nei petali per attirare meglio le api. Il modello è costituito da alcuni disegni invisibili che si formano precocemente durante lo sviluppo del fiore, i quali determineranno dimensione dei centri colorati e saranno in grado di influenzare direttamente la capacità del fiore di attrarre impollinatori.

Il cuore della scoperta, pubblicata sulla rivista Science Advances, risiede proprio nel cosiddetto “pre-modello“, come una specie di disegno che si sviluppa nei petali molto prima che essi assumano il loro colore definitivo. Il modello preliminare gioca un ruolo chiave nella formazione dei motivi che attirano gli insetti, come ad esempio i bullseye, ovvero i bersagli centrali visibili nei fiori. È stato dimostrato che le api preferiscono bersagli più grandi e che, nel volare tra dischi di fiori artificiali con bersagli più ampi, incrementano del 25% la loro velocità di visita.

Tale comportamento ha un impatto rilevante, sia sull’efficienza delle api nel raccogliere nettare e polline, sia sulla capacità delle piante di essere impollinate con maggiore frequenza.

L’importanza dei motivi floreali per l’impollinazione

I motivi sui petali dei fiori, come ad esempio strisce, macchie e venature, fungono da segnali visivi per gli insetti impollinatori, come le api, e li guidano direttamente al centro del fiore, dove si trovano nettare e polline. I disegni aumentano le possibilità di impollinazione, facilitano la riproduzione delle piante e, sebbene la funzione sia nota, poco si conosce di come tali motivi si formino e su come si siano evoluti in una così ampia varietà di forme e colori.

I ricercatori hanno deciso di approfondire proprio questo aspetto, utilizzando come modello l’ibisco. Sono state studiate tre specie di ibisco, tutte con fiori di dimensioni simili, ma con disegni a bersaglio di dimensioni differenti:

  • H. richardsonii, con un bersaglio piccolo che copre solo il 4% del fiore,
  • H. trionum, con un bersaglio medio che copre il 16%,
  • ed una variante transgenica di H. trionum, con un bersaglio grande che copre il 36%.

Il ruolo del pre-modello

Come già osservato, la scoperta centrale dello studio riguarda la formazione di un precoce pre-modello sui petali, il quale si forma quando i petali sono ancora privi di colore e hanno solo poche centinaia di cellule. È stato osservato che, già in questa fase iniziale, si stabiliscono delle regioni distinte sul petalo, predeterminate a sviluppare specifici colori e texture molto tempo prima che questi diventino visibili.

Le regioni differenziate si comportano come una sorta di “tela”, dove ogni area è predisposta a ricevere un colore o una texture specifica, in modo simile al concetto del “dipingi con i numeri”. Il processo anticipato permette alla pianta di controllare la formazione del disegno finale del fiore con grande precisione, ed è proprio in questa fase che la pianta decide, per così dire, quanto grande sarà il bersaglio centrale del fiore, influenzando così la capacità del fiore di attrarre gli impollinatori.

Le preferenze delle api

Lo studio ha dimostrato che le api preferiscono i fiori con bersagli più grandi. I ricercatori hanno utilizzato fiori artificiali con bersagli di tre dimensioni diverse e hanno osservato che le api volavano più rapidamente tra i fiori con bersagli medi e grandi, ignorando quelli con bersagli più piccoli. Le api visitavano il 25% più velocemente i dischi di fiori con bersagli più grandi, il che implica una maggiore efficienza nella raccolta di nettare. Questo comportamento è vantaggioso sia per le api, che risparmiano energia, sia per le piante, che vengono impollinate con maggiore frequenza.

La dottoressa Lucie Riglet, una delle principali autrici dello studio, ha spiegato che le differenze nei tempi di visita potrebbero tradursi in un importante vantaggio evolutivo per le piante con bersagli più grandi. “Se un’ape riesce a visitare quattro fiori con bersagli grandi anziché tre con bersagli piccoli nello stesso intervallo di tempo, questo aumenta l’efficienza dell’ape nel raccogliere il nettare e garantisce alla pianta una maggiore probabilità di essere impollinata”, ha osservato Riglet.

Implicazioni evolutive

La ricerca ha implicazioni interessanti per quanto riguarda l’evoluzione delle piante. Se un tratto, come la dimensione di un bersaglio sui petali, può essere modificato attraverso diversi meccanismi, questo offre all’evoluzione maggiori possibilità di diversificare i fiori. Come un artista con una vasta tavolozza di colori o un costruttore con un ampio assortimento di strumenti, le piante possono evolversi in un ventaglio straordinario di forme e disegni, fattispecie che permette loro di ottimizzare i diversi motivi per attirare una maggiore varietà di impollinatori.

La dottoressa Edwige Moyroud, a capo del team di ricerca, ha sottolineato come lo studio della formazione di questi motivi possa rappresentare un enorme contributo alla comprensione della genesi della biodiversità naturale. “Se comprendiamo come le piante modificano i loro disegni per adattarsi all’ambiente, possiamo capire meglio come la natura abbia creato l’immensa diversità che osserviamo oggi”, ha dichiarato.

Previsioni future

Il prossimo obiettivo del team di ricerca è identificare i segnali che regolano la formazione di questi pre-modelli sui petali. Capire come si creano questi pattern precoci potrebbe rivelare molto sulle origini evolutive dei motivi floreali e fornire nuove informazioni su come le piante si siano adattate per ottimizzare la loro relazione con gli impollinatori.

Uno degli aspetti più affascinanti della ricerca è che i pre-modelli potrebbero non essere esclusivi dei petali: gli scienziati ipotizzano che meccanismi simili possano essere utilizzati anche in altre parti della pianta, come le foglie, aprendo così la strada ad ulteriori studi sulle connessioni tra le diverse strutture vegetali ed i loro rispettivi ruoli nell’ecosistema.

Implicazioni per la biodiversità

Lo studio non si limita a fornire nuove informazioni sulla biologia dei fiori, ma ha anche rilevanza per la conservazione della biodiversità. Ad esempio, H. richardsonii, una delle specie di ibisco studiate, rischia l’estinzione in Nuova Zelanda: capire come i disegni sui petali influenzano l’attrazione degli impollinatori potrebbe aiutare nella protezione di specie vegetali minacciate. Al contrario, H. trionum, che possiede un bersaglio più grande, è ampiamente distribuito e non è minacciato, pertanto,  la differenza nelle dimensioni del bersaglio potrebbe spiegare in parte perché alcune piante siano più capaci di sopravvivere e prosperare in ambienti diversi.

Il lavoro dei ricercatori apre la strada ad una comprensione più approfondita delle complesse interazioni tra piante e impollinatori, a dimostrazione di quanto siano sottili ed intricati i meccanismi evolutivi che regolano la vita vegetale.

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