L’olio di palma continua a distruggere le foreste. Proseguono gli incendi e gli abbattimenti di alberi millenari per fare spazio alla coltivazione di palme da olio. Mentre le multinazionali dell’olio di palma giocano sporco, le foreste muoiono. E purtroppo c’è chi si affanna a difendere l’olio di palma con una campagna pubblicitaria martellante.
L’olio di palma continua a distruggere le foreste. Proseguono gli incendi e gli abbattimenti di alberi millenari per fare spazio alla coltivazione di palme da olio. Mentre le multinazionali dell’olio di palma giocano sporco, le foreste muoiono. E purtroppo c’è chi si affanna a difendere l’olio di palma con una campagna pubblicitaria martellante.
Gli ultimi rapporti di Greenpeace su olio di palma e deforestazione parlano molto chiaro. Colgate, Palmolive, Pepsi e Johnson & Johnson sono tra le multinazionali più coinvolte nella distruzione delle foreste. Come potete notare dai nomi delle aziende coinvolte, l’impiego dell’olio di palma a livello industriale non riguarda soltanto la produzione alimentare ma anche la realizzazione di prodotti per la detergenza della casa e per la cura della persona.
L’olio di palma è onnipresente. Le aziende continuano ad utilizzarlo perché si tratta di una materia prima a basso costo e di un ingrediente poco problematico che rimane stabile durante le lavorazioni industriali alimentari e non.
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A pagarne le spese però siamo noi, è il nostro Pianeta con foreste dal valore inestimabile che scompaiono e con popolazioni soffocate dai fumi provenienti dagli incendi che fanno a dir poco terra bruciata per consentire la coltivazione delle palme da olio.
Da Greenpeace veniamo a sapere che lo scorso anno, tra giugno e ottobre, violenti incendi hanno ridotto in cenere milioni di ettari di foresta tropicale indonesiana.
Fonte foto: Greenpeace
Possiamo avere un’idea della situazione attuale tramite gli ultimi rapporti di Greenpeace su olio di palma e deforestazione: “Cutting deforestation out of the palm oil supply chain” e “Under Fire”.
Dalle informazioni più recenti messe a disposizione da Greenpeace apprendiamo che solo poche aziende stanno compiendo progressi significativi per garantire che la deforestazione scompaia completamente dalla catena di approvvigionamento dell’olio di palma, e la maggior parte di questi marchi si sta muovendo troppo lentamente.
Secondo i dati messi a disposizione da Greenpeace infatti grandi aziende come Colgate-Palmolive, Johnson & Johnson e PepsiCo mostrano le performance più basse. Tra i marchi analizzati, Ferrero risulta avere il migliore risultato/punteggio, grazie ai rilevanti progressi fatti nella tracciabilità dell’olio di palma, al ragionevole miglioramento in materia di trasparenza e al forte sostegno in favore di un cambio reale del settore.
Esistono però ancora forti dubbi sulla reale possibilità di avere a disposizione del vero olio di palma sostenibile, dato che le indicazioni della RSPO (la Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile) vietano la deforestazione per la coltivazione di palme da olio solo nelle aree di foresta considerate ‘sensibili’. A nostro parere però tutte le aree forestali a rischio nel mondo sono da proteggere. Non possiamo permetterci che ecosistemi naturali dal valore inestimabile scompaiano – con danni per gli animali, per gli equilibri naturali e per le popolazioni locali – semplicemente nel nome del profitto che rappresenta il maggior obiettivo delle multinazionali.
Di fronte a uno scempio ambientale ormai indescrivibile, le lobby non possono fare altro che difendere chi utilizza e produce olio di palma a discapito della tutela del Pianeta. E lo fanno con una campagna pubblicitaria martellante e milionaria che vuole convincerci che l’olio di palma sostenibile esista davvero e sia ok.
L’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile dal 28 febbraio ha dato il via ad una campagna di comunicazione istituzionale nata per ‘raccontare agli italiani cos’è l’olio di palma sostenibile’. La campagna è stata pianificata per apparire per tre settimane su tv, quotidiani, periodici e testate online.
Basta leggere il comunicato di presentazione della campagna per comprendere che quando si parla di olio di palma sostenibile si fa riferimento ancora una volta alla RSPO e dunque ad uno standard di sostenibilità per la certificazione della produzione e dell’utilizzo dell’olio di palma creato dalle aziende stesse. Peccato che le indicazioni della RSPO per la produzione di olio di palma non siano abbastanza severe da poter consentire un vero e proprio stop alla deforestazione. E che dire delle aziende che controllano se stesse da questo punto di vista? Possiamo davvero fidarci?
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La campagna di comunicazione non punta soltanto sul problema della deforestazione ma anche sulla dibattuta questione ‘olio di palma e salute’. L’olio di palma viene descritto come un alimento che non ha alcuna caratteristica che lo possa rendere meno raccomandabile di un qualunque altro alimento o ingrediente che apporta grassi saturi alla dieta.
Facciamo attenzione però: ‘meno raccomandabile’ non significa di certo ‘salutare’. E infatti il Ministero della Salute proprio negli ultimi giorni ha reso noto il parere dell’Istituto Superiore di Sanità sull’olio di palma, da cui emerge che per contenuto di grassi saturi l’olio di palma può essere paragonato al burro ma anche che proprio il consumo di olio di palma e di grassi saturi in generale nella nostra dieta dovrebbe essere molto limitato.
Inoltre dal Ministero della Salute apprendiamo che l’olio di palma come altri alimenti ricchi di grassi saturi rappresenta un rischio per la salute per fasce di popolazione deboli quali bambini, anziani, dislipidemici, obesi, pazienti con pregressi eventi cardiovascolari e ipertesi che “possono presentare una maggiore vulnerabilità rispetto alla popolazione generale”.
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Tutte informazioni che dalla campagna di comunicazione a favore dell’olio di palma sostenibile non emergono. Dunque prima di compiere qualsiasi scelta legata alla nostra salute e alla difesa dell’ambiente cerchiamo di informarci in modo approfondito e decidiamo soltanto sulla base della nostra coscienza e non a partire dai messaggi che certe campagne pubblicitarie decisamente sospette cercano di inculcarci.
Marta Albè
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