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Lo Sri Lanka teme le nefaste conseguenze ambientali e sociali delle piantagioni di olio di palma presenti nel paese; ecco perché il governo cingalese ha deciso di imporre un divieto alle importazioni di olio di palma (il paese acquista circa 200.000 tonnellate di olio vegetale all’anno, principalmente dalla Malesia) e di radere al suolo le piantagioni di olio di palma esistenti, in vista della sostituzione, da realizzare nel giro di un decennio, delle piantagioni di olio di palma con alberi della gomma e altre colture.
La decisione delle autorità statali cingalesi, resa pubblica lo scorso 5 aprile, sarebbe in linea con le raccomandazioni riportate in un rapporto redatto nel 2018 da un gruppo di esperti ambientali della Central Environmental Authority (CEA) dello Sri Lanka, che avrebbero evidenziato la correlazione esistente tra la presenza di piantagioni di palma da olio e fenomeni quali l’erosione del suolo e l’esaurimento delle risorse idriche del territorio, con effetti irreversibili sull’equilibrio ecosistemico e sulla sopravvivenza delle comunità residenti.
A differenza dei grandi paesi produttori di olio di palma (come l’Indonesia e la Malesia), in Sri Lanka le palme da olio non sono all’origine di drammatici processi di deforestazione, ma hanno preso il posto delle piantagioni di gomma; quest’ultime, secondo gli esperti della CEA, garantirebbero non solo un più elevato livello di biodiversità, ma anche la creazione di un sostenibile mercato del lavoro in grado di generare occupazione, a beneficio della popolazione locale.
Una specie invasiva
Per gli autori del suddetto rapporto, un altro aspetto preoccupante sarebbe che la palma da olio africana (Elaeis guineensis) dello Sri Lanka — la cui coltivazione su larga scala è iniziata a metà degli anni Novanta del secolo scorso, mentre l’introduzione della coltura si fa risalire alla fine degli anni Sessanta (1968) — rischia di diventare una specie invasiva. Diffusasi a macchia di leopardo nella riserva forestale Indikada Mukalana, nella parte occidentale del paese, essa avrebbe provocato conseguenze non prevedibili (e potenzialmente dannose) sulla flora e la fauna autoctone.
Pertanto, esperti come Siril Wijesundara — ex direttore generale del Dipartimento dei giardini botanici e membro di un team incaricato di documentare le specie di piante aliene invasive dello Sri Lanka — pensano sia importante prevenire la rigenerazione naturale dei semi di palma da olio sia all’interno delle piantagioni di palma da olio, sia nei terreni circostanti.
Secondo il professor Gamini Hitinayake, membro del gruppo di esperti e docente presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Peradeniya, la proliferazione delle palme da olio costituirebbe una minaccia per le specie vegetali e animali autoctone. A suo parere, la palma da olio avrebbe messo in pericolo tutte le colture tradizionali (piantagioni di gomma, tè e cocco), di norma considerate come più rispettose dell’ambiente.
Tra l’altro, la palma da olio esportata nello Sri Lanka non aveva un impollinatore naturale in loco. A tale scopo, nel paese è stato introdotto il punteruolo africano della palma da olio (Elaeidobius kamerunicus), il cui eventuale impatto negativo sull’ambiente non sarebbe stato ancora debitamente e accuratamente accertato.
Prosciugamento delle fonti d’acqua
Come spiegato da Hitinayake, l’albero dell’olio di palma assorbe molta acqua, il che fa temere che possa prosciugare i locali corsi d’acqua. La palma da olio è una pianta che cresce in tempi rapidi e, per questo motivo, essa richiede un alto tasso di consumo di acqua, specialmente durante la sua fase di accrescimento.
Un ulteriore problema sollevato nel rapporto del gruppo di esperti è che le piantagioni di palma da olio non hanno consociazioni o sottobosco; si tratta quindi di una monocoltura che non gioca a favore della tutela della biodiversità. Al contrario, le comuni piantagioni di gomma offrono un livello relativamente alto di biodiversità. È interessante notare, inoltre, che i pangolini indiani in via di estinzione (Manis crassicaudata) prediligono le piantagioni di gomma come loro principale habitat dopo le foreste.
Piantagioni illegali e crisi sociale
Coltivare e raccogliere il raccolto delle piantagioni di palma da olio non sono attività laboriose quanto quelle necessarie per gli alberi da gomma o per le altre colture; ciò ha suscitato paure e proteste da parte degli abitanti dei villaggi che tradizionalmente lavorano nelle piantagioni di gomma. Questi lavoratori agricoli, privati dei principali mezzi di sussistenza, hanno altresì assistito ad un repentino degrado ecologico delle aree coltivate a olio di palma.
Sono circa 11.000 gli ettari di palme da olio piantate in tutto lo Sri Lanka, ma, in molti casi, i piantatori avrebbero violato le linee guida generali previste per la coltivazione di questa coltura.
Per legge è vietato piantare palme da olio su pendii più ripidi di 30 gradi, ma in alcune zone vengono coltivate anche su pendii più ripidi di 60 gradi. Esiste il divieto di piantare nelle zone umide o sulle rive dei fiumi, ma anche questo divieto è stato spesso violato.
Decisione controversa: chi ha ragione?
La nuova politica governativa prevede lo stop alle importazioni di olio di palma e l’obbligo di radere al suolo il 10% della superficie coltivata ogni anno a palma da olio, allo scopo di reimpiantare alberi da gomma e altre colture che richiedono meno dispendio di acqua.
Le contestazioni all’annuncio del governo non hanno tuttavia tardato ad arrivare. Asoka Nugawela, professore emerito presso la Facoltà di Agraria dell’Università Wayamba, ha duramente criticato il suggerimento del gruppo di esperti CEA secondo cui le piantagioni di palma da olio potrebbero prosciugare le fonti d’acqua locali.
Nugawela ha osservato che la palma da olio in Sri Lanka viene generalmente coltivata in aree in cui le precipitazioni annuali superano i 3.500 millimetri, mentre il loro fabbisogno idrico è di circa 1.300 mm. Quindi, a suo avviso, l’argomentazione secondo cui le fonti d’acqua si starebbero esaurendo risulterebbe priva di fondamento scientifico.
Inoltre, ha spiegato che la tenuta di Nakiyadeniya, la prima piantagione di palma da olio dello Sri Lanka, operativa ormai da più di 50 anni, non ha mostrato problemi idrici a livello locale. Anzi, uno studio del 2018 avrebbe rilevato la presenza di una nuova specie di pesci d’acqua dolce in un ruscello di Nakiyadeniya; Nugawela ha usato anche questo esempio per dimostrare che l’argomentazione degli esperti della CEA appare infondata.
Ha concluso che la disponibilità di acqua sarebbe inficiata soprattutto dal cambiamento climatico, poiché le precipitazioni stanno diventando più irregolari. Infine, la questione dell’erosione del suolo è sicuramente un problema di gestione, per il quale però è possibile adottare misure correttive.
Anche la Palm Oil Industry Association dello Sri Lanka ha respinto le “anti-scientifiche” raccomandazioni del gruppo di esperti, a partire dalle quali è stato decretato il divieto governativo. Ha aggiunto che le aziende che hanno investito in maniera preponderante nella coltivazione della palma da olio in Sri Lanka non intendono fare un passo indietro e promette di presentare ricorso avverso il provvedimento.
Fonti: CEA/The Gazette of the Democratic Socialist Republic of Sri Lanka
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