Olio di palma. La coltivazione di palme da olio per la produzione di biocarburanti può porre a serio rischio l’ambiente e rappresentare una causa del peggioramento dei cambiamenti climatici. Già in precedenza eravamo andati alla ricerca delle motivazioni per cui la coltivazione di palme da olio fosse da considerare poco sostenibile dal punto di vista ambientale. Un’ulteriore conferma giunge ora da uno studio pubblicato sulle pagine della rivista Nature.
La coltivazione di palme da olio per la produzione di biocarburanti può porre a serio rischio l’ambiente e rappresentare una causa del peggioramento dei cambiamenti climatici. Già in precedenza eravamo andati alla ricerca delle motivazioni per cui olio di palma fosse da considerare poco sostenibile dal punto di vista ambientale. Un’ulteriore conferma giunge ora da uno studio pubblicato sulle pagine della rivista Nature.
L’olio di palma, oltre ad essere impiegato nell’industria cosmetica e alimentare, dove in numerosi prodotti tale ingrediente si cela dietro la sibillina dicitura di “olio vegetale” apposta in etichetta, viene utilizzato per la produzione di biocarburante, una pratica che era già stata bollata da parte della U.S. Environmental Protection Agency, in quanto ritenuta in grado di provocare emissioni di anidride carbonica superiori a quanto consentito perché un biocarburante venga considerato “pulito”.
La presenza di una simile grave situazione è stata da poco confermata per quanto riguarda la Malesia, dove la costante deforestazione attuata per fare spazio alle palme da cui ricavare l’olio sta al momento causando la riemersione di carbonio rimasto ben sigillato all’interno dei terreni per migliaia di anni. Quando esso viene raggiunto dai microbi, avviene il rilascio di anidride carbonica, considerata tra le maggiori cause del riscaldamento globale.
Più dell’80% della coltivazione mondiale di palme da olio avviene attualmente tra la Malesia e l’Indonesia, provocando deforestazione e sottraendo agli agricoltori terreni coltivabili. Secondo alcune stime, ogni anno un’area di estensione pari al territorio della Grecia viene completamente rasa al suolo in nome della produzione di olio di palma, probabilmente l’olio più economico utilizzato da parte dell’industria cosmetica e alimentare, oltre che per la produzione di biocarburanti.
Chris Freeman, scienziato ambientale della University of Bangor, in Galles, e tra gli autori dello studio, ha confermato come la coltivazione asiatica delle palme da olio fosse già considerata una minaccia per la biodiversità e come grani quantità di anidride carbonica potessero essere rilasciate durante gli incendi avvistati nei luoghi di coltivazione, ma ora a sconcertare gli scienziati è la scoperta di una nuova fonte di carbonio e di rilascio di anidride carbonica fino ad ora rimasta nascosta, riemersa attraverso la deforestazione delle paludi di torba. Essa è in grado di minare seriamente gli ecosistemi di zone del mondo tanto fragili e bisognose di protezione.
Andare ad intaccare le paludi di torba per trasformarle in piantagioni di palme da olio da cui ricavare biocarburanti, secondo le parole dell’esperto, è un metodo che porta al verificarsi proprio di quelle emissioni di anidride carbonica che si vorrebbero evitare attraverso l’impiego di carburanti “verdi”. L’olio di palma come fonte per biocarburanti e per la produzione di altri beni industriali non rappresenta una soluzione ecologica.
Purtroppo, seguendo l’andamento dei mercati relativi alla compravendita di oli industriali, ciò che emerge è che al momento la sua esportazione risulta in crescita, in particolare per via di un calo della produzione di olio di soia in Argentina, dovuto a fattori meteorologici, che favorisce il rivolgersi delle aziende internazionali all’onnipresente e più economico olio di palma, in un circolo di profitto che non prevede di tenere conto dei rischi per gli ecosistemi e dei problemi ambientali che interessano il pianeta.
Marta Albè
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