L’Oceano Artico “esplode” di alghe e cibo per gli animali marini, ma le conseguenze a lungo termine potrebbero essere tutt’altro che positive
L’Oceano Artico “esplode” di alghe e cibo per gli animali marini, ma le conseguenze a lungo termine potrebbero essere tutt’altro che positive. Lo studio, condotto presso la Standford University (UK), mostra un inaspettato comportamento in coincidenza con lo scioglimento della calotta polare. E lancia una potenziale allerta per il futuro.
Non è normale affatto: gli scienziati di Stanford riportano come la crescita del fitoplancton nell’Oceano Artico sia aumentata del 57% in soli due decenni, incrementando la sua capacità di assorbire anidride carbonica. Mentre prima, quindi, questa era legato allo scioglimento del ghiaccio marino, ora è spinta dall’aumento della concentrazione di piccole alghe.
Il fitoplacton è infatti un insieme di organismi presenti nel plancton e in grado di effettuare fotosintesi, generando sostanza organica a partire da quelle inorganiche disciolte, tramite la radiazione solare come fonte di energia. Tali organismi sono dunque autotrofi, ovvero provvedono in autonomia al proprio sostentamento, senza doversi avvalere di specie diverse.
Si osservano ora fioriture realmente esplosive di fitoplancton, alla base di una catena alimentare in cima alla quale si trovano balene e orsi polari: la condizione ha drasticamente alterato la capacità dell’Artico di trasformare il carbonio atmosferico in materia vivente.
Il lavoro è stato condotto analizzando la produzione primaria netta (NPP), una misura della rapidità con cui piante e alghe convertono luce solare e anidride carbonica in zuccheri di cui altre creature possono nutrirsi, osservando che questa è aumentata del 57% tra il 1998 e il 2018, un incremento senza precedenti della produttività di un intero bacino oceanico.
Siamo di fronte ad una vera e propria “zuppa oceanica”, ed è tutt’altro che un bene.
“Sapevamo che l’Artico aveva aumentato la produzione negli ultimi anni, ma sembrava possibile che il sistema stesse riciclando la stessa riserva di nutrienti – spiega Kate Lewis, che ha guidato la ricerca – Il nostro studio dimostra che non è così. Il fitoplancton assorbe più carbonio anno dopo anno quando nuovi nutrienti arrivano in questo oceano. Questa situazione, scoperta in modo del tutto inaspettato, ha grandi impatti ecologici”.
La crescita del fitoplancton potrebbe infatti risultare non sincronizzata con il resto della catena alimentare a causa dello scioglimento dei ghiacciai e per altri motivi, tra cui la probabilità che aumenti il traffico marittimo man mano che verranno aperte le acque dell’Artico e il fatto che questo è semplicemente troppo piccolo per eliminare tutte le emissioni di gas serra del mondo.
I ricercatori hanno ottenuto questi risultati misurando la clorofilla delle piante verdi rilavata dai sensori satellitari e dalle crociere di ricerca. Ma, a causa della particolare interazione di luce, colore e vita nell’Artico, il lavoro ha richiesto nuovi algoritmi.
Quelli che funzionano infatti in qualsiasi altra parte del mondo e che osservano il colore dell’oceano per valutare la quantità di fitoplancton presente, non funzionano per niente nell’Artico, portando ad errori inaccettabili nelle stime.
La difficoltà deriva in parte da un enorme volume di acqua di fiume che trasporta materia organica disciolta rilevata erroneamente come clorofilla dai sensori e in parte a causa delle insolite modalità di adattamento nell’Artico del fitoplacton che ha dovuto “reagire” alla scarsa quantità di luce.
Un incredibile lavoro, dunque, quello svolto dai ricercatori dell’Università di Standford, che aiuterà a chiarire come i cambiamenti climatici modificheranno la produttività, l’approvvigionamento alimentare e la capacità di assorbire carbonio del futuro Mar Glaciale Artico.
La ricerca è stata pubblicata su Science.
Fonti di riferimento: Standford University / Science
Leggi anche: