20.000 leghe sotto i mari troviamo mercurio. Anzi, c’è più mercurio negli abissi degli oceani che nei siti industriali
A 20.000 leghe sotto i mari troviamo mercurio. Anzi, c’è più mercurio negli abissi degli oceani che nei siti industriali. Uno studio shock condotto da un team di scienziati da Danimarca, Canada, Germania e Giappone ha concluso che il metallo, altamente tossico, si deposita nei fondali da 8 a 10 mila metri sotto la superficie.
Ma c’è di più: la quantità di mercurio scoperta in queste zone si è rivelata superiore a qualsiasi valore mai registrato nei sedimenti marini remoti ed è persino superiore a molte aree direttamente contaminate da rilasci industriali.
Che questo metallo si trovasse nei mari purtroppo era già noto: tendono a moltiplicarsi i ritrovamenti anche nel pesce comunemente venduto e che portiamo sulle nostre tavole, e le allerte sono sempre più preoccupanri.
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Non solo: proprio pochissimi giorni fa uno studio ha trovato critici livelli di questo elemento chimico persino nei ghiacciai sciolti della Groenlandia, alti quanto quelli dei fiumi altamente inquinati nelle aree più popolose del mondo.
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Oggi sappiamo che questo non è solo un problema “superficiale” perché il mercurio si deposita sui fondali, fino a 10 mila metri in profondità.
La cattiva notizia è che questi alti livelli di mercurio possono essere rappresentativi dell’aumento collettivo delle emissioni antropiche di mercurio nei nostri oceani – spiega Hamed Sanei, autore principale del lavoro – Ma la buona è che le trincee oceaniche agiscono come una discarica permanente, e che quindi possiamo aspettarci che il mercurio che finisce lì rimarrà sepolto per molti milioni di anni. La tettonica delle placche trasporterà questi sedimenti in profondità nel mantello superiore della terra.
Preoccupa di per sé, in realtà, pensare che l’accumulo nei fondali sia una notizia “buona”, soprattutto perché sono allarmanti i possibili percorsi che il metallo tossico ha seguito per andare così in fondo.
Anche se il mercurio viene rimosso dalla biosfera, rimane abbastanza allarmante quanto mercurio sia finito nelle fosse oceaniche – precisa infatti Sanei – Questo potrebbe essere un indicatore della salute generale dei nostri oceani.
Lo studio, che rappresenta un punto da cui partire alla scoperta degli eventi disastri che stiamo facendo, dovrebbe essere da stimolo anche per strategie correttive (ce lo auguriamo).
Questo documento richiede un ampio campionamento aggiuntivo delle profondità oceaniche e in particolare trincee hadal per supportare questo lavoro preliminare – spiega a questo proposito il coautore Ronnie Glud – In definitiva ciò migliorerà l’accuratezza dei modelli ambientali del mercurio e la gestione dell’inquinamento globale da mercurio.
Il lavoro è stato pubblicato su Scientific Reports.
Fonti di riferimento: Eurekalert / Scientific Reports
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