Non solo vite umane, la guerra a Gaza ha un effetto devastante anche su inquinamento e crisi climatica

Secondo una nuova ricerca, i primi mesi di conflitto tra Hamas e Israele hanno prodotto più gas climalteranti di quanto non siano capaci 20 nazioni messe insieme in un anno

Le emissioni generate durante i primi due mesi della guerra a Gaza sono state superiori all’impronta di carbonio annuale di oltre 20 delle nazioni più vulnerabili al clima del mondo e oltre il 5% delle emissioni globali sono legate ai conflitti o agli eserciti, ma i Paesi continuano a nascondere la reale portata.

È quanto emerge da un nuovo studio del Social Science Research Network britannico, secondo cui in due mesi sono state prodotte 281mila tonnellate di CO2, per il 99% riconducibili ai raid israeliani, anche se, a conti fatti, si tratta di stime estremamente conservative, da cui sono escluse numerose voci di difficile calcolo (ad esempio le emissioni di gas metano). La quantità reale di emissioni sarebbe anche (e di molto) superiore.

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Già all’inizio del 2022, ci si cominciò a chiedere in che modo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia stesse influenzando la crisi climatica e si mise nero su bianco un dato di fatto: se da un lato due decenni di analisi e dibattiti internazionali sul rapporto tra cambiamento climatico e sicurezza si sono concentrati su come il nostro clima in rapida destabilizzazione potrebbe minare la sicurezza degli Stati, dall’altro lato si è sempre ignorato il modo in cui le scelte di sicurezza nazionale, come la spesa militare o la guerra stessa, siano in grado di avere un impatto sul clima, e quindi minare la nostra sicurezza collettiva.

Catastrofe Gaza

La stragrande maggioranza (oltre il 99%) delle 281mila tonnellate di anidride carbonica (CO2 equivalente) che si stima siano state generate nei primi 60 giorni dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre può essere attribuito al bombardamento aereo e all’invasione di terra di Gaza da parte di Israele.

Secondo lo studio, che si basa solo su una manciata di attività ad alta intensità di carbonio ed è quindi probabilmente una sottostima significativa, il costo climatico dei primi 60 giorni della risposta militare israeliana è stato equivalente alla combustione di almeno 150mila tonnellate di carbone.

L’analisi, che deve ancora essere sottoposta a revisione paritaria, include le emissioni di CO2 dalle missioni aeree, dai carri armati e dal carburante di altri veicoli, e dalle emissioni generate dalla fabbricazione e dall’esplosione di bombe, artiglieria e razzi. Non include altri gas che riscaldano il pianeta come il metano. I razzi di Hamas lanciati su Israele nello stesso periodo hanno generato circa 713 tonnellate di CO2, che equivale a circa 300 tonnellate di carbone, sottolineando l’asimmetria della macchina bellica di entrambe le parti.

Questo studio è solo un’istantanea della più grande impronta di stivali militari della guerra… un quadro parziale delle massicce emissioni di carbonio e degli inquinanti tossici più ampi che rimarranno a lungo dopo la fine dei combattimenti, dice Benjamin Neimark, docente senior presso la Queen Mary, University of London (QMUL) e co-autore della ricerca.

Studi precedenti avevano già suggerito che la vera impronta di carbonio potrebbe essere da cinque a otto volte superiore, se si includono le emissioni dell’intera catena di approvvigionamento bellico. Ora, la nuova ricerca calcola che il costo del carbonio per ricostruire i 100mila edifici danneggiati di Gaza utilizzando tecniche di costruzione contemporanee genererà almeno 30 milioni di tonnellate di gas riscaldanti.

Questa ricerca ci aiuta a comprendere l’immensa portata delle emissioni militari, derivanti dalla preparazione alla guerra, all’esecuzione della guerra e alla ricostruzione dopo la guerra. Il conflitto armato spinge l’umanità ancora più vicino al precipizio della catastrofe climatica ed è un modo idiota di spendere il nostro budget di carbonio in contrazione, dichiara David Boyd, relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani e l’ambiente.

Le conseguenze climatiche, tra cui l’innalzamento del livello del mare, la siccità e il caldo estremo, stavano già minacciando le riserve idriche e la sicurezza alimentare in Palestina. La situazione ambientale a Gaza ora è catastrofica.

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