“Nessuno tocchi gas e petrolio”: così l’Italia continua a finanziare missioni militari a tutela delle fonti fossili

Nel 2024 la spesa italiana per le missioni militari a tutela delle fonti fossili sta aumentando: dagli 833 milioni di euro del 2023 si è già passati a 840 milioni. Un trend inverso rispetto agli obiettivi della neutralità climatica

A dirla tutta, ci volevano soltanto le guerre perché il nostro Governo desse una spinta ulteriore alla militarizzazione delle fonti fossili e, in particolare, al collegamento tra la nuova missione nel Mar Rosso e la sicurezza energetica. Ed è così che in quattro e quattr’otto, la Camera ha approvato nei giorni scorsi tutte le operazioni militari per tutelare le rotte del gas e del petrolio.

Secondo i dati di Greenpeace, solo nel 2024 la spesa italiana per le missioni militari a tutela delle fonti fossili cresce leggermente in termini assoluti rispetto al 2023: da 833 milioni di euro a 840 milioni. Un dato in costante crescita dal 2019, con un trend inverso rispetto agli obiettivi della neutralità climatica.

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E non solo: a dimostrare il legame tra la risposta italiana agli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso e i nostri approvvigionamenti energetici, del resto, sono i numeri. Secondo FederPetroli, dalla rotta del Canale di Suez transita il 27% dell’import italiano di greggio e il 34% del nostro Gnl.

Invece di puntare sulla pace e sulla de-escalation, Stati Uniti e Unione europea hanno scelto di militarizzare ulteriormente un’area instabile per proteggere una rotta cruciale per le fonti fossili, principali responsabili del disastro climatico. Anche le altre due missioni europee collegate alla nuova operazione Aspides, cioè EMASoH nello Stretto di Hormuz e Atalanta nel Golfo di Aden, svolgono da anni un ruolo di protezione dell’import del petrolio e del gas.

La mappa delle missioni a tutela di petrolio e gas

Le principali aree delle missioni militari “fossili” restano quelle degli anni scorsi, ovvero:

  • Oceano Indiano Nord Occidentale
  • Medio Oriente
  • Mediterraneo centrale e orientale
  • Golfo di Guinea e Mozambico

I casi più eclatanti di missioni “fossili” rimangono l’operazione Gabinia nel Golfo di Guinea – che continua ad avere come primo compito la protezione degli «asset estrattivi di ENI, operando in acque internazionali», oltre a proteggere le petroliere e le altre imbarcazioni dagli attacchi dei pirati –, e Mediterraneo Sicuro, che vede confermata l’attività di «sorveglianza e protezione delle piattaforme dell’ENI ubicate nelle acque internazionali prospicienti la costa libica». Nel 2023, segnala la relazione governativa, questa missione ha contribuito anche «alla sicurezza energetica e delle comunicazioni attraverso la protezione di infrastrutture critiche (piattaforme off-shore, oleodotti, gasdotti, condotte dorsali subacquee) di interesse strategico nazionale, anche nella loro dimensione subacquea».

Il documento governativo, infatti, precisa che “il controllo e il monitoraggio delle infrastrutture energetiche da soli appaiono insufficienti a garantire tale sicurezza (energetica, ndr)”.

Insomma, la priorità dei governi italiani rimane sempre la stessa: le fonti fossili.

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