Una nuova ricerca dimostra che un terremoto di 2.500 anni fa deviò il Gange, evidenziando i rischi sismici attuali per il Bangladesh: questo evento storico solleva interrogativi cruciali sulla vulnerabilità della regione a futuri terremoti di grande magnitudo
Circa 2.500 anni fa, un potente terremoto causò un cambiamento improvviso nel corso del Gange, uno dei fiumi più grandi del mondo. Questo evento, fino ad oggi non documentato, deviò il canale principale del fiume in quella che ora è la densamente popolata Bangladesh, una regione ancora vulnerabile ai grandi terremoti. Questo nuovo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications.
Gli scienziati conoscono molti cambiamenti di corso dei fiumi causati da terremoti, ma, secondo Michael Steckler, geofisico del Lamont-Doherty Earth Observatory, non abbiamo mai visto un cambiamento così grande:
Un evento del genere avrebbe potuto sommergere chiunque si trovasse nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Liz Chamberlain, ricercatrice all’Università di Wageningen nei Paesi Bassi, ha affermato:
Non era mai stato confermato che i terremoti potessero causare avulsioni in delta, specialmente per un fiume immenso come il Gange.
Il Gange nasce nell’Himalaya e scorre per circa 2.600 chilometri, combinandosi con altri fiumi come il Brahmaputra e il Meghna, formando un vasto sistema fluviale che sfocia nella Baia del Bengala, coprendo Bangladesh e India. È il secondo sistema fluviale più grande al mondo per portata, dopo l’Amazzonia.
Come altri fiumi nei grandi delta, il Gange subisce cambiamenti di corso senza terremoti. I sedimenti trasportati a valle si accumulano nel canale, sollevando il letto del fiume fino a farlo rompere e iniziare un nuovo percorso. Questo processo avviene in anni o decenni. Un’avulsione causata da un terremoto, invece, può verificarsi quasi istantaneamente.
Le scoperte del nuovo studio
Gli autori dello studio hanno individuato, grazie a immagini satellitari, il vecchio canale del Gange, circa 100 chilometri a sud di Dhaka, la capitale del Bangladesh. Questo canale, largo circa 1,5 chilometri, si estende per 100 chilometri parallelamente all’attuale corso del fiume. Riempito di fango, inonda frequentemente ed è usato per la coltivazione del riso.
Nel 2018, Chamberlain e altri ricercatori hanno trovato un’escavazione fresca per uno stagno non ancora riempito d’acqua. Hanno osservato dike verticali di sabbia chiara che attraversavano strati di fango, segno di un terremoto. Le scosse possono pressurizzare gli strati di sabbia sepolti e spingerli verso l’alto, formando “vulcani di sabbia” larghi 30-40 centimetri e alti 3-4 metri.
Ulteriori analisi hanno mostrato che i vulcani di sabbia erano stati creati contemporaneamente e che le eruzioni e l’abbandono del canale risalivano a circa 2.500 anni fa. Un sito simile, 85 chilometri a valle, si riempì di fango nello stesso periodo. Gli autori concludono che si trattava di una grande avulsione causata da un terremoto di magnitudo 7 o 8.
Il terremoto potrebbe provenire da una zona di subduzione a sud-est, dove una placca oceanica si spinge sotto il Bangladesh, il Myanmar e il nord-est dell’India, oppure da grandi faglie ai piedi dell’Himalaya, in aumento per la collisione della placca indiana con l’Asia. Uno studio del 2016 di Steckler mostra che queste zone stanno accumulando stress e potrebbero generare terremoti simili a quello di 2.500 anni fa. L’ultimo terremoto di questa entità avvenne nel 1762, causando un maremoto che risalì il fiume fino a Dhaka. Un altro potrebbe essere avvenuto intorno al 1140 d.C.
Lo studio del 2016 stima che un moderno terremoto simile potrebbe colpire 140 milioni di persone. Syed Humayun Akhter, rettore della Bangladesh Open University e coautore di entrambi gli studi, ha affermato:
I grandi terremoti influenzano vaste aree e possono avere effetti economici, sociali e politici di lunga durata.
Il Gange non è l’unico fiume a rischio. Anche altri fiumi in delta tettonicamente attivi, come il Fiume Giallo in Cina, l’Irrawaddy in Myanmar e il Giordano in Medio Oriente, affrontano pericoli simili.
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Fonte: Columbia Climate School
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