Sono minuscole, dai colori vivaci e velenose, ma brillano per attirare l’attenzione: questo è quello che fanno queste rane.
C’è chi usa suoni, chi emana ormoni (o feromoni) e chi brilla per attirare l’attenzione: questo è quello che fanno delle minuscole (e velenose) rane dai colori vivaci, che, nella stagione degli amori, diventano fluorescenti. La scoperta è opera di un gruppo di ricerca della NYU Abu Dhabi.
Brillare di luce propria per attirare un compagno: queste rane (nome scientifico Brachycephalus ephippium), che vivono in Brasile (e per altro sono già minacciate dalla perdita del loro habitat), lo fanno davvero. Girano nella foresta durante il periodo degli accoppiamenti ronzando, ma il richiamo non è acustico bensì visivo. Il loro scheletro diventa fluorescente.
Una scoperta casuale quella compiuta presso la NYU Abu Dhabi: infatti questa singolare capacità non è visibile a occhio nudo. Il ricercatori erano convinti che le rane cercassero di attirare potenziali compagni con il loro verso, ma poi si sono resi conto che questo non poteva essere ascoltato.
Per questo, dopo diverse ipotesi, hanno illuminato questi minuscoli anfibi (da 12.5 mm a 19.7 mm di lunghezza) con della luce ultravioletta, notando che il loro dorso si illuminava: le rane diventano dunque fluorescenti, ed è questo il segnale di “disponibilità”. La luce non è infatti visibile all’occhio umano, ma a quello delle rane sì.
D’altronde non è nemmeno la prima specie a mettere in atto un simile meccanismo di biofluorescenza: recentemente, ad esempio, un gruppo di ricerca dell’Università Ludwig Maximilian di Monaco ha dimostrato che lo scheletro dei camaleonti si illumina al buio e ritiene che questa capacità sia utilizzata per la comunicazione e per la selezione sessuale.
In particolare, per queste rane, gli studiosi riferiscono che la fluorescenza (la capacità di riemettere luce di altra lunghezza d’onda dopo irraggiamento) è dovuta a placche ossee che giacciono direttamente sotto una pelle molto sottile. In realtà l’intero scheletro ha questa proprietà, che però risulta visibile solo esternamente, dove lo strato di tessuto cutaneo sopra le ossa è molto sottile (circa sette micrometri di spessore).
Foto: Scientific Reports
Inoltre la mancanza di cellule pigmentate tipiche della pelle scura (che bloccano il passaggio della luce) e lo spessore sottile della pelle permettono alla luce ultravioletta di attraversare e di irraggiare le placche ossee, che dunque poi riemettono degli incredibili colori.
“I motivi fluorescenti sono visibili all’occhio umano solo sotto una lampada UV – spiega Sandra Goutte, primo autore della ricerca – In natura, se fossero visibili ad altri animali, potrebbero essere usati come segnali di comunicazione intraspecifica […], avvertendo i potenziali predatori della loro tossicità. Tuttavia sono necessarie ulteriori ricerche sul comportamento di queste rane e dei loro predatori per individuare la funzione potenziale di questa luminescenza unica”.
Non solo “amore” dunque. Le rane potrebbero illuminarsi anche per difendersi dai predatori. O chissà, la natura potrebbe aver “inventato” questa strategia come meccanismo di controllo, perché anche le prede potrebbero essere allertate della presenza di questa velenosissima rana.
Tutto molto presto per dirlo. Ma non per smettere di stupirci.
Il lavoro è stato pubblicato su Scientific Reports.
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