La Portulaca oleracea ci salverà dalla fame? Presto per dirlo, ma uno studio scientifico la indica come resiliente ai cambiamenti climatici
La Portulaca oleracea ci salverà dalla fame? Presto per dirlo, ma uno studio scientifico guidato dalla Central University of Kerala (India) indica come questa pianta è particolarmente resistente alla siccità, suggerendola come “coltura climatica intelligente” che può quindi combattere la scarsità di cibo, che si aggrava sempre di più a causa dei cambiamenti climatici.
Forse non proprio “climate change free” ma un indizio su come agire per combattere la fame del mondo, una tragedia dilagante con stime che sostengono come che 11 persone potrebbero morire ogni minuto per fame acuta (contro le 7 vittime al minuto per la Covid-19).
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Da tempo in realtà gli scienziati si erano interessati alle piante naturalmente resistenti alla siccità e che consumano meno acqua, molte delle quali storicamente importanti (come il miglio e le patate dolci), ma che sono state recentemente messe in secondo piano a causa dell’ingravescente omogeneizzazione alimentare.
La portulaca è una pianta C4, tipica dei climi caldi ma con ridotta disponibilità idrica, come anche il mais, il sorgo e la canna da zucchero, che fissano l’anidride carbonica atmosferica per produrre carboidrati con un percorso alternativo di fotosintesi clorofilliana al classico ciclo di Calvin-Benson.
Ma questa specie fa di più: può attivare anche una “fotosintesi speciale” chiamata fotosintesi CAM (acronimo di Crassulacean Acid Metabolism, ossia metabolismo acido delle crassulacee), sulla base di parametri ambientali come salinità, durata del giorno, temperatura notturna e stress idrico.
Tale processo biochimico è di fatto un adattamento alle condizioni aride, per cui le piante come la portulaca (ma anche il cactus) fissano la CO2 atmosferica di notte ed eseguono la fotosintesi di giorno.
In più la portulaca ha un interruttore C4-CAM, ovvero può adottare un percorso C4 in condizioni di irrigazione normali e passare a un percorso CAM quando si trova di fronte all’aridità. Una meraviglia evolutiva che la rende anche naturalmente resiliente alla salinità e in generale straordinariamente capace di adattarsi ai cambiamenti ambientali.
In più la coltura è nota per le sue sostanze fitochimiche nutritive come alcaloidi, flavonoidi, catecolamine, lignani, terpenoidi, betalaine, carotenoidi, vitamine, nonché acidi grassi omega-3.
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Potrebbe essere la panacea per i mali del mondo? Sicuramente non da sola. Ma resta un punto su una via da approfondire, che di certo non è continuare con gli allevamenti intensivi e incentivare il consumo di carne.
Il lavoro è stato accettato per la pubblicazione su Frontiers in Sustainable Food Systems (l’articolo definitivo sarà disponibile nelle prossime settimane).
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Fonti di riferimento: Frontiers in Sustainable Food Systems
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