Il leggendario pino nero secolare della Majella è stato trovato in un burrone dai ricercatori: la posizione inaccessibile lo ha salvato dai taglialegna
L’esistenza del pino nero secolare a Fara di San Martino, in provincia di Chieti, fino a qualche giorno fa era poco più di una leggenda.
Si diceva che l’albero fosse cresciuto in un burrone e nei secoli pare sia stato oggetto di culti pagani e riti sacri, simbolo di fertilità e protagonista di storie e sonetti: “Laggiù, in fondo a quel burrone, abbarbicato alla parete strapiombante, c’è un pino antichissimo, ha gli anni di Celestino V“.
Nessuno aveva però mai avuto la fortuna di verificare l’esistenza di questo antichissimo albero, fino a che i botanici e gli agronomi dell’Ente parco della Majella hanno deciso di attrezzarsi con imbracature, corde e chiodi e andare alla ricerca del misterioso albero.
Accompagnati dal personale del Soccorso Alpino Forestale, i ricercatori si sono calati nel burrone che scende dalla Cima della Stretta, nel fondo della Val Serviera e, finalmente, dopo circa cento metri di discesa hanno incontrato un piccolo bosco formato da sei esemplari di pino nero cresciuti sospesi nel vuoto.
Ne dà notizia La Repubblica, che ha pubblicato anche le foto rilasciate dall’Ente parco relative a questo incredibile ritrovamento.
A condurre la ricerca, eseguita nell’ambito della tesi di laurea dello studente Gabriele Paolucci, il direttore dell’Ente Parco, Luciano Di Martino insieme a Alfredo Di Filippo, docente di botanica presso l’Università di Viterbo.
“A livello tassonomico in Italia sono presenti due sottospecie di pino nero: Pinus nigra laricio e Pinus nigra nigra, che, a sua volta, viene distinto in variante italica Hochst (o pino nero di Villetta Barrea) e variante austriaca Loud (o pino nero austriaco)”
Il popolamento di pino nero (Pinus nigra variante italica Hochst) oggetto di questa ricerca era stato studiato in campo tassonomico dal professor Fernando Tammaro, botanico dell’ateneo aquilano, che negli anni ’80 attribuì questa essenza alla sottospecie “laricio” che vegeta soprattutto in Calabria. Studi recenti hanno invece portato alla definitiva attribuzione nella sottospecie nigra.
Gli studi dovranno necessariamente continuare poiché ulteriori analisi dendrocronologiche su un maggior numero di esemplari potrebbero fornire sicuri elementi di approfondimento nella grande tematica dei cambiamenti climatici”, ha spiegato il direttore del Parco a Repubblica.
Dei sei pini trovati nel burrone, tre avevano tronchi del diametro superiore a un metro e uno addirittura di quasi quattro metri.
Dalle analisi è emerso poi che uno dei sei pini ha 900 anni, confermando l’esistenza dell’albero già all’epoca di Celestino V, come vuole la leggenda.
Potrebbe trattarsi di uno degli esseri viventi più antichi della regione e deve la sua longevità alla posizione praticamente impossibile da raggiungere.
Nato e cresciuto in un burrone, il pino non è mai stato trovato dai taglialegna a caccia del prezioso legno e della resina di questi alberi, usati in passato per costruire fiaccole e navi.
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