E' stato reso noto ieri il rapporto che tasta il polso agli oceani di tutto il mondo. E le notizie non sono affatto buone. Si rischia l'estinzione delle forme di vita che abitano i nostri mari
Le specie animali che abitano gli oceani stanno correndo un grosso rischio. È quanto emerge dal rapporto “International Earth System expert workshop on ocean impacts and stresses” diffuso ieri in occasione del seminario dell‘Ipso con l’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) e la Commissione mondiale delle aeree protette (Cmap).
A disegnare l’inquietante scenario è stato un gruppo internazionale formato da 27 scienziati di 18 organizzazioni di 6 Paesi. Il documento, che sintetizza i risultati di un altro seminario svoltosi lo scorso aprile presso l’Università di Oxford, ha messo in luce lo stato davvero sconcertante in cui versano i mari del nostro pianeta. In particolare sono stati esaminati gli effetti combinati di inquinamento, acidificazione, riscaldamento, pesca eccessiva e mancanza di ossigeno.
L’associazione contemporanea di questi fattori provoca conseguenze non da poco per la salute delle acque e dei suoi abitanti. In particolare la mancanza di ossigeno, il riscaldamento e l’acidificazione, secondo gli esperti, erano presenti anche in ognuna delle precedenti fasi di estinzione di massa registrate nella storia della nostro pianeta.
Elaborando oltre 50 documenti che hanno esaminato in questi anni lo stato di salute dei nostri oceani, gli studiosi hanno notato un aumento dei livelli di carbonio assorbiti dai mari, “molto più elevati rispetto all’epoca dell’ ultima estinzione di massa di specie marine, circa 55 milioni di anni fa, quando alcuni gruppi di animali hanno subito il 50% di perdite“. Inoltre un singolo evento di sbiancamento di massa, che ebbe luogo nel 1998 uccise il 16% di tutte le barriere coralline tropicali del mondo.
Questo il commento di Alex Rogers, Direttore Scientifico del Programma internazionale per gli oceani (Ipso): “I risultati sono scioccanti. Come abbiamo considerato, l’effetto cumulativo di ciò che l’uomo fa agli oceani è di gran lunga peggiore di quanto era stato realizzato prima d’ora. Questa è una situazione molto grave e impegnativa da trattare. Stiamo cercando di valutare le conseguenze per l’umanità e per l’impatto che l’estinzione potrà avere nella nostra vita, e peggio ancora, in quelle dei nostri figli e per le generazioni future”.
Sul banco degli imputati anche la pesca intensiva che dal canto suo ha prodotto una riduzione del 90% di alcune specie, insieme allo scarico in mare di prodotti agricoli e industriali che stanno letteralmente devastando l’habitat naturale.
Dan Laffoley, presidente della Commissione mondiale sulle Aree protette (IUCN) e e co-autore del rapporto, ha dichiarato: “I maggiori esperti del mondo sugli oceani sono sorpresi dalla velocità e dalla portata dei cambiamenti a cui stiamo assistendo. Le sfide per il futuro degli oceani sono enormi, ma a differenza delle generazioni precedenti oggi sappiamo cosa accadrà. Il tempo per proteggere il cuore azzurro del nostro pianeta è oggi“.
E subito dopo l’allarme e di dati choc sul rischio estinzione delle specie animali negli oceani, l’associazione ambientalista Marevivo invoca un summit mondiale, “un G20 per il mare”, allo scopo di “disegnare una strategia globale di salvaguardia del mare ed individuare misure di tutela che possano garantire agli oceani di continuare a svolgere il loro ruolo di produzione dell’80% di ossigeno e di assorbire il 30% di anidride carbonica”.
“Il mare, con la sua moltitudine di esseri viventi vegetali e animali, dal fitoplancton alle grandi balene, dalle praterie di Posidonia agli squali, deve essere al centro dell’attenzione – spiega la presidente di Marevivo, Rosalba Giugni – E non può essere dimenticato: se il mare muore, non ci sarà più vita neanche per l’uomo nel pianeta”.
Insomma, prendeno in prestito le parole dell’associazione “il mare “bolle” sotto il peso del global warming, “soffoca” venendo meno alla sua funzione di polmone del pianeta e “affoga” a causa dell’inquinamento“. Vogliamo restare a guardare?
Francesca Mancuso