Oceani al collasso: entro il 2050 non ci sarà più pesce

Con il riscaldamento delle acque e l’acidificazione degli oceani anche la catena alimentare marina rischia il collasso

Oceani caldi e inquinamento e i danni si fanno sentire anche nei mari. E non solo per quanto riguarda la graduale scomparsa di e di uccelli, ma anche per il rischio che sta correndo la catena alimentare marina, che con il riscaldamento delle acque e l’acidificazione degli oceani non ci va esattamente a braccetto.

Importanti ecosistemi, infatti, potrebbero essere danneggiati in maniera massiccia entro il 2050 a meno che le emissioni di gas a effetto serra e l’inquinamento localizzato non si riduca drasticamente.

L’allerta arriva da una nuova ricerca dell’Università australiana di Adelaide, che ha preso in esame l’impatto del cambiamento climatico sugli ecosistemi marini e sulle loro specie nel prossimo futuro, col risultato che le catene alimentari degli oceani del mondo sono evidentemente a rischio crollo proprio a causa del rilascio dei gas a effetto serra, della pesca eccessiva e dell’inquinamento localizzato.

Lo studio si è basato su 632 esperimenti condotti negli oceani del mondo, dalle acque tropicali a quelle artiche, dalle barriere coralline al mare aperto, e ha rilevato che il cambiamento climatico sta disintegrando via via le diversità e l’abbondanza di specie marine.

Gli studiosi hanno fondato le loro ipotesi sull’impatto dei fattori di stress di breve termine e quello dei fattori di lungo termine.

Non ci aspettavamo che gli studi di lungo termine mostrassero effetti altrettanto deleteri”, dice il biologo marino Ivan Nagelkerken. “Guardando ai singoli effetti di stress – solo il riscaldamento globale o solo l’acidificazione – per alcune specie non si vede alcun effetto e per altre specie un effetto negativo, ma quando si combinano i due fattori, di solito si vede un effetto più ampio”.

Il risultato? L’acidificazione causerà senza dubbio una ulteriore riduzione della produzione da parte del plancton oceanico di gas dimetil-solfuro, che non fa altro che aggregare le particelle di vapore acqueo nell’atmosfera, aiutare la formazione di nubi e creare una sorta di schermatura dalla radiazione solare entrante (per questo motivo è ritenuto un limitante dell’effetto serra). In più, gli oceani assorbono circa un terzo di tutta l’anidride carbonica emessa dalla combustione di combustibili fossili.

Non solo, quindi, acque inquinate, scarichi fognari e pesca eccessiva: se non si trovano soluzioni, il cambiamento climatico peggiorerà le cose anche negli oceani.

Abbiamo anche scoperto che è molto più probabile che gli animali più in alto nella catena alimentare, compresi i grandi predatori, saranno colpiti più duramente dal cambiamento climatico rispetto alle specie più in basso. Alcune specie potranno beneficiare, i produttori primari come il plancton e le alghe, ma non le specie di pesci più grandi. Si teme un collasso progressivo delle specie, dalla cima della catena alimentare verso il basso”.

“Correre ai ripari”, insomma, sembra essere il monito anche per quanto riguarda la vita negli oceani. Non vi sembra un po’ eccessivo il carico di colpe di cui ci stiamo facendo, volenti o nolenti, portatori?

Germana Carillo

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