Fiumi, torrenti paludi, stagni, laghi e torbiere sono una fonte preziosa di veri e propri “servizi ecosistemici” e hanno un ruolo cruciale nella regolazione del clima. Eppure, soprattutto qui – dalle parti del Mediterraneo – abbiamo degradato le nostre zone umide per secoli. E abbiamo perso parecchio
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Filtrano, immagazzinano, riforniscono il Pianeta di acqua e di cibo e più di un miliardo di persone in tutto il mondo dipende da esse per il loro sostentamento. Sono le cosiddette “zone umide” e il loro è un ruolo chiave nella regolazione del clima globale.
Diverse e affascinanti, alcune wetlands, così si chiamano, sono vere e proprie lagune a ridosso del mare, altre sembrano acquitrini quasi dai colori poco invitanti. E poi ci sono i fiumi, gli stagni, i laghi, le paludi, le torbiere: un patrimonio immenso che in pochi sanno quanto sia importante.
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Per raccontare il valore di queste zone che svolgono servizi ecosistemici essenziali alla nostra sopravvivenza, domani 2 febbraio si celebra come ogni anno la Giornata mondiale delle Zone Umide (World Wetlands Day, WWD), data che ricorda l’adozione della Convenzione omonima per la loro tutela, firmata il 2 febbraio del ‘71 nella città iraniana di Ramsar.
Perché ricordarcelo? Perché preservare le zone umide è vitale dal momento che esse ci riforniscono di acqua potabile, catturano sostanze tossiche, ci difendono da alluvioni e inondazioni e contrastano il cambiamento climatico, catturando ingenti quantità di carbonio.
Non vi dice nulla tutto questo?
Cosa sono le zone umide e quante sono in Italia
Secondo quanto definito dalla Convenzione del 1971, le zone umide sono paludi, acquitrini, torbiere e specchi d’acqua naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con acqua stagnante o corrente, dolce, salmastra o salata, incluse quelle fasce marine costiere la cui profondità, in condizioni di bassa marea, non superi i 6 m.
La nascita di una Convenzione ad hoc ha permesso di identificare e circoscrivere i siti nel mondo che hanno tali caratteristiche, che vendono inclusi in una “lista delle zone umide di importanza internazionale”: i siti della lista sono oggetto di tutele e di programmi di protezione ambientale.
Attualmente in Italia si contano 65 zone umide protette, per un totale di 82.331 ettari. Fra queste, per citarne alcune, Lago di Burano, in Toscana, il Lago di Sabaudia, nel Lazio, o il Lago Trasimeno, in Umbria.
Ma ad oggi cosa abbiamo perso?
Secondo le Nazioni Unite il nostro Pianeta ha perso ad oggi più dell’85% di questi ecosistemi. E non solo: dopo le grandi bonifiche tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento, un ulteriore 35% di zone umide è stato perso nel mondo solo negli ultimi 50 anni.
Si tratta di una perdita enorme che non può non mettere in crisi la biodiversità di questi habitat: non è un caso – dicono dal WWF – che tra i gruppi faunistici più minacciati ci siano le cozze d’acqua dolce (molluschi bivalvi), i gamberi d’acqua dolce (crostacei), le libellule (odonati), i pesci d’acqua dolce e gli anfibi tutti gruppi strettamente legati alla sorte delle acque interne, mentre le popolazioni di vertebrati delle acque dolci sono crollate dell’83%.
Le funzioni delle zone umide
Regolano i fenomeni idrogeologici, attenuando gli effetti delle piene dei fiumi, e favoriscono la ricarica delle falde acquifere, ma le zone umide sono anche naturali “trappole per nutrienti”, riducendo il carico organico derivante soprattutto dalle attività agricole e zootecniche. Lagune e laghi costieri, inoltre, sono habitat essenziali per la riproduzione dei pesci e di conseguenza per la pesca.
In più, le zone umide sono fondamentali per la fissazione del carbonio in biosfera, mitigando così gli effetti del cambiamento climatico. Ma l’aspetto più significativo è rappresentato dalla grande biodiversità caratteristica di questi habitat, tra i più ricchi in assoluto insieme alle barriere coralline e alle foreste tropicali.
Ricapitolando, le funzioni essenziali delle wetlands sono:
- il mantenimento dei livelli di falda
- il controllo delle inondazioni, sono infatti ammortizzatori di eventi naturali estremi
- il controllo dell’erosione e il consolidamento delle rive
- il trattenimento dei sedimenti e delle sostanze tossiche
- la cattura dei nutrienti
- la mitigazione e la conservazione del microclima, essendo serbatoi di carbonio
In più, come spiega Legambiente, le zone umide offrono acqua alle comunità per le esigenze primarie e forniscono circa il 70% di tutta l’acqua dolce utilizzata per l’irrigazione.
3 conseguenze della perdita delle zone umide
- A livello globale, le torbiere immagazzinano il doppio della CO2 prodotta della biomassa totale di tutte le foreste del mondo messe insieme. Eppure, la costruzione di dighe, l’utilizzo delle acque sotterranee, l’aumento dell’inquinamento idrico e la produzione industriale e agricola hanno ridotto le zone umide in tutto il mondo di più del 30% dal 1970 soprattutto nell’America Latina
- Il drenaggio delle aree per l’estrazione della torba è doppiamente dannoso per il clima. Non solo la capacità di stoccaggio della CO2 viene distrutta, ma quando si prosciugano queste terre, si rilasciano anche i gas che esse avevano immagazzinato, e in particolare il metano, uno dei principali climalteranti. Di conseguenza, man mano che le temperature aumentano e le zone umide si prosciugano, possono passare da vaste riserve di gas serra a fonti di gas serra. Al contrario, quando sono presenti e in salute immagazzinano la CO2. La loro scomparsa rilascerebbe la stessa quantità di anidride carbonica che gli Stati Uniti produrrebbero continuando a usare combustibili fossili all’attuale tasso annuale fino al 2100
- Le zone umide possono aiutare a combattere i disastri naturali. Proprio così: la crisi climatica sta rendendo più gravi i disastri ambientali come tempeste e inondazioni. Le zone umide come le foreste di mangrovie e le saline e le paludi vicino alla costa possono aiutare a contrastare questo problema. Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Università della California Santa Cruz, le saline e le paludi hanno ridotto i danni alle case provocati dall’uragano Sandy sulla costa orientale degli Stati Uniti nel 2012 per un totale di 625 milioni di dollari (514 milioni di euro). In alcuni punti, i danni sono stati evitati fino al 70%. La ragione è chiara: esse riducono la forza delle onde.
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Fonti: WWF / Legambiente
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