Italia, Svezia e Paesi Bassi votano contro la legge che mirerebbe a proteggere la biodiversità e a recuperare gli ecosistemi del continente. La Nature Restoration Law resta dunque bloccata
“Occorre una maggiore riflessione su come evitare impatti negativi su di un settore, come quello agricolo, che è cruciale per l’economia e la sicurezza alimentare dell’Italia e dell’Ue”, così la viceministra all’Ambiente e Sicurezza Vannia Gava in merito alla proposta di Regolamento sul ripristino della natura discussa a Bruxelles il 25 marzo scorso.
Cosa vuol dire? Che, in mezzo ai 27 Stati membri dell’Ue chiamati a raccolta al Consiglio Ambiente, l’Italia si è opposta nuovamente alla Nature Restoration Law, insieme a Paesi Bassi, Svezia e Polonia.
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La legge era già stata approvata a febbraio dall’Europarlamento, e un accordo provvisorio con il Consiglio è già stato trovato lo scorso novembre. Il 25 marzo, quindi, avrebbe dunque dovuto esserci solo il via libera formale.
Invece, a cambiare direzione, è stato dapprima il voltafaccia dell’Ungheria di Orban, che ha ritirato il sostegno alla proposta di legge, e poi noi, oltre all’astensione di Austria, Belgio e Finlandia.
Gli ambientalisti riuniti nella coalizione #RestoreNature non ci stanno e il Wwf – forte di una appello firmato da 147 scienziati – si è rivolto direttamente al Governo Meloni per chiedere di sostenere la legge. Un appello caduto però nel vuoto.
L’Italia sostiene l’obiettivo di tutelare e riparare gli ecosistemi e ha partecipato attivamente al negoziato, dice ancora Gava.
Ma nei fatti il nostro Paese sta bloccando il via libera a una legge che prevede proprio di rendere più sani i suoli e l’ambiente europeo, che sono alla base della produzione agricola, mentre oggi il 60-70% dei terreni europei non gode di buona salute (in primis per l’abuso di concimi), mettendo così a rischio la sostenibilità nel tempo della produzione agricola.
Perché?
La scelta è di “puro posizionamento politico contro la transizione ecologica“, come sottolineato dagli ambientalisti di #RestoreNature, per i quali “è del tutto incomprensibile e spaventoso vedere che la legge per il ripristino della natura viene sacrificata sull’altare del sentimento populista anti-ambientalista, senza alcuna spiegazione razionale e minando il processo decisionale democratico”.
Eppure, il commissario Ue per l’Ambiente Virginijus Sinkevicius ha ribadito che l’accordo finale non prevede obblighi per gli agricoltori e che “numerosi settori, tra cui l’agricoltura, la silvicoltura, il turismo e l’energia, così come l’industria e il settore finanziario, si basano sulla biodiversità e sugli ecosistemi naturali: preservare e ripristinare la natura è fondamentale per mantenere un’industria e un’economia sostenibile“.
Una grande battuta d’arresto, quindi, che viene visto come l’ultimo e probabilmente il più grande colpo inferto all’agenda ambientale dell’Unione europea negli ultimi mesi. Mentre molte delle proteste degli agricoltori continuano oltre i nostri confini e prima delle elezioni di giugno, molte norme green le vediamo via via indebolirsi.
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