La Terra sta perdendo biodiversità a livelli senza precedenti. I tassi di estinzione delle specie stanno accelerando a un ritmo vertiginoso. A rivelarlo è il nuovo rapporto dell'Onu secondo cui un milione di specie rischiano di sparire per sempre
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La Terra sta perdendo biodiversità a livelli senza precedenti. I tassi di estinzione delle specie stanno accelerando a un ritmo vertiginoso. A rivelarlo è il nuovo rapporto dell’Onu secondo cui un milione di specie rischiano di sparire per sempre.
Il rapporto condotto dall’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services è il più completo mai svolto. Si tratta del primo nel suo genere. Compilato da 145 autori provenienti da 50 paesi negli ultimi tre anni, il documento ha valutato i cambiamenti negli ultimi 50 anni, fornendo un quadro completo della relazione tra i percorsi di sviluppo economico e il loro impatto sulla natura. Inoltre, ha ipotizzato anche una serie di possibili scenari relativi ai prossimi decenni.
Sulla base della revisione sistematica di circa 15.000 fonti scientifiche e governative, il Rapporto ha attinto, per la prima volta in questa scala, alle conoscenze indigene e locali.
Numeri che fanno paura
Numeri alla mano, secondo la ricerca del Gruppo intergovernativo per la Biodiversità e i Servizi Ecosistemici, circa un milione di specie animali e vegetali sono ora minacciate di estinzione, rischiando di sparire entro decenni. Si tratta della minaccia più concreta nella storia dell’umanità.
L’abbondanza media di specie autoctone nella maggior parte degli habitat terrestri è diminuita di almeno il 20%, soprattutto dal 1900. Più del 40% delle specie di anfibi, quasi il 33% dei coralli e più di un terzo di tutti i mammiferi marini sono minacciati. La situazione è meno chiara per gli insetti, anche se in base alle le prove a disposizione è minacciato circa il 10%.
Almeno 680 specie di vertebrati erano state portate all’estinzione dal 16° secolo e più del 9% di tutte le razze di mammiferi domestici utilizzate per il cibo e l’agricoltura si sono estinte fino al 2016.
È tutta colpa dell’uomo
Proprio come con i cambiamenti climatici, secondo lo studio, l’umanità è la principale responsabile dei danni alla biodiversità, avendo alterato il 75% della terra e il 66% degli ecosistemi marini sin dai tempi pre-industriali.
Il rapporto sottolinea l’impatto disastroso della crescita della popolazione e dell’aumento della domanda. La popolazione mondiale infatti è più che raddoppiata (da 3,7 a 7,6 miliardi di persone) negli ultimi 50 anni e il prodotto interno lordo per persona è quattro volte più alto. Più di un terzo delle terre del mondo e il 75% delle risorse di acqua dolce sono utilizzate per la produzione di colture e l’allevamento.
Dal 1970, è stato registrato un aumento del 300% della produzione globale di colture alimentari, col risultato che il 23% delle aree terrestri ha ridotto la produttività agricola. Circa il 25% delle emissioni di gas a effetto serra sono causate dal discoscamento del terreno, dalla produzione agricola e dalla fertilizzazione.
“Gli ecosistemi, le specie, le popolazioni selvatiche, le varietà locali e le razze di piante e animali domestici si stanno restringendo, deteriorandosi o scomparendo. La rete essenziale e interconnessa della vita sulla Terra sta diventando sempre più piccola e sfilacciata “, ha detto il professor Settele. “Questa perdita è un risultato diretto dell’attività umana e costituisce una minaccia diretta per il benessere umano in tutte le regioni del mondo”.
Cambiamenti climatici
Non poteva di certo mancare il riferimento al riscaldamento globale. Secondo il rapporto, dal 1980 le emissioni di gas serra sono raddoppiate, facendo salire le temperature medie medie di almeno 0,7 gradi. Ciò ha influenzato gli ecosistemi naturali e l’impatto non farà che aumentare nei prossimi decenni.
A poco sono serviti i progressi compiuti per implementare le politiche di tutela. Secondo il rapporto, gli obiettivi globali per conservare e utilizzare in modo sostenibile la natura e raggiungere la sostenibilità non possono essere soddisfatti attraverso gli accordi attuali al 2030 ma potranno essere raggiunti solo attraverso cambiamenti forti in ambito economico, sociale, politico e tecnologico.
“Le prove schiaccianti del Global Assessment IPBES, da una vasta gamma di diversi campi di conoscenza, presentano un quadro inquietante”, ha detto il presidente dell’IPBES, Robert Watson. “La salute degli ecosistemi da cui dipendiamo noi e tutte le altre specie si sta deteriorando più rapidamente che mai. Stiamo erodendo le basi stesse delle nostre economie, mezzi di sussistenza, sicurezza alimentare, salute e qualità della vita in tutto il mondo. Il Rapporto ci dice anche che non è troppo tardi per fare la differenza, ma solo se iniziamo ora a tutti i livelli, dal locale al globale. Attraverso il ‘cambiamento trasformativo’, la natura può ancora essere conservata, ripristinata e utilizzata in modo sostenibile – questa è anche la chiave per soddisfare la maggior parte degli altri obiettivi globali. Per cambiamento trasformativo intendiamo una riorganizzazione fondamentale a livello di sistema tra fattori tecnologici, economici e sociali, inclusi paradigmi, obiettivi e valori”.
Siamo ancora in tempo per porre rimedio ma solo se rivoluzioniamo letteralmente il nostro modo di vivere.
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Francesca Mancuso