Living Planet Report 2010, dal WWF è allarme: nel 2030 avremo bisogno di 2 pianeti

La Terra è al collasso. Bisogna invertire subito la rotta! Se si continua così avremo bisogno di due pianeti per far fronte all'impronta dell'uomo sulla Terra. A lanciare l'allarme è il Living Planet Report 2010, il biennale rapporto realizzato dal WWF in collaborazione con la Zoological Society di Londra e il Global Footprint Network che ieri, in diretta mondiale via Web è stato presentato al mondo.

La Terra è al collasso. Bisogna invertire subito la rotta! Se si continua così avremo bisogno di due pianeti per far fronte all’impronta dell’uomo sulla Terra. A lanciare l’allarme è il Living Planet Report 2010, il biennale rapporto realizzato dal WWF in collaborazione con la Zoological Society di Londra e il Global Footprint Network che ieri, in diretta mondiale via Web è stato presentato al mondo.

Nell’Anno internazionale della biodiversità e ad una settimana dalla Conferenza di Nagoya dove si discuterà per decidere le nuove strategie per arrestare il tasso di perdita della biodiversità al 2020, l’associazione ambientalista tira le somme della pressione antropica sul Pianeta affermando con forza l’urgenza di riconoscere il ruolo centrale della natura per la salute e il benessere dell’umanità ed evitare il collasso. Per il WWF c’è bisogno di una rapida inversione di tendenza e diventa fondamentale includere i servizi degli ecosistemi nei nuovi indicatori di sviluppo.

In pratica il Living Planet Report 2010 che ha visto la partecipazione della giornalista di AlJazeera Veronica Pedrosa, mette in rapporto le misure della pressione antropica, in particolare l’Impronta ecologica e l’Impronta idrica, con l’Indice del Pianeta vivente ovvero l’indicatore che misrua le risorse naturali della Terra e lo stato di salute del pianeta attraverso i trend di quasi 8.000 popolazioni di oltre 2.500 specie di vertebrati che “sono alla base dei servizi naturali da cui dipendiamo”. E, tirando le somme, è evidente che stiamo arrivando al collasso.

La situazione sempre più grave in cui versano i sistemi naturali del pianeta a causa della nostra costante pressione dimostra chiaramente l‘insostenibilità dei modelli economici sin qui perseguiti, basati su una crescita materiale e quantitativa continua – dichiara Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia – Nella nuova economia eco-sostenibile, il pensiero economico deve comprendere l’attenzione per gli esseri umani e per i sistemi naturali del pianeta, tra di loro indissolubilmente legati. Riconoscere alla natura il suo valore per la salute stessa dell’uomo è uno degli imperativi che dovranno guidare le decisioni della Conferenza di Nagoya.”

Così se l’Indice della specie nelle zone temperate grazie soprattutto agli sforzi fatti nel controllo dell’inquinamento e della deforestazione, registra un certo miglioramento rispetto al 1970 (+29%), ai tropici il declino arriva fino al 70% per le specie di acqua dolce.

La perdita di biodiversità, sinonimo di cattivo stato di salute degli ecosistemi, si ripercuote inevitabilmente anche nella nostra vita e nel nostro benessere. A partire dalla fornitura di cibo, materie prime e medicine, passando per la depurazione di acqua e aria, la rigenerazione del suolo, l’impollinazione delle piante e la protezione da inondazioni e malattia.

Poiché il benessere e le economie delle società umane dipendono dai servizi degli ecosistemi, la perdita di tali servizi rappresenta una grave minaccia per lo sviluppo futuro di tutta l’umanità – ha dichiarato Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia – Per questo è necessario creare indicatori per i servizi eco sistemici in grado di quantificare i benefici che un ecosistema vitale offre all’umanità. È un primo passo essenziale per assegnare un valore economico ai servizi degli ecosistemi e favorire nuovi incentivi per la conservazione della natura, come sta proponendo il grande programma internazionale TEEB il cui rapporto finale verrà presentato durante la Conferenza di Nagoya.

Le specie sono le fondamenta degli ecosistemi – ha dichiarato Jonathan Baillie, direttore del Programma di Conservazione della Zoological Society di Londra Ecosistemi in salute costituiscono la base di tutto quello che abbiamo. Se li perdiamo distruggeremo il sistema che supporta la nostra vita.

L’impronta ecologica dell’uomo, ossia la domanda di risorse necessarie per tutte le nostre attività, è in aumento costante e superano di gran lunga la capacità del Pianeta di rigenerare le proprie risorse. Dal rapporto emerge come dal 1966 questa sia letteralmente raddoppiata. In particolare l’impronta di carbonio è aumentata addirittura di 11 volte e quella idrica è in costante aumento.

Eppure basterebbe che ogni abitante del pianeta si “accontentasse” di 1,8 ettari globali (considerando la superficie occupata dalle infrastrutture e quella necessaria ad assorbire i rifiuti che si producono, incluse le emissioni di CO2) per non superare i limiti della capacità di assorbimento del pianeta e non compromettere le generazioni future. Ma siamo ben oltre questa soglia perché le nazioni più ricche arrivano a picchi di oltre 10 ettari globali pro-capite.

Quali sono i 10 Paesi con l’impronta ecologica più “pesante” ? Al primo posto troviamo gli Emirati Arabi Uniti, seguiti da Qatar, Danimarca, Belgio, Stati Uniti, Estonia, Canada, Australia, Kuwait e Irlanda. Così, per rendere l’idea, se tutti vivessimo come gli abitanti degli Emirati Arabi ci vorrebbero 6 pianeti per soddisfare la nostra impronta ecologica, 4,5 se adottassimo lo stile di vita medio di Stati Uniti, Belgio e Danimarca.

E noi italiani? Non brilliamo di certo neanche noi in quanto a “leggerezza”: con una media di 5 ettari globali pro-capite siamo al 29° posto della famigerata classifica che tradotto significa che se continuassimo a mantenere il nostro stile di vita inalterato, avremmo bisogno di 2,8 pianeti.

Nel complesso i 31 Paesi dell’OCSE, ovvero quelli con le economie più ricche del mondo sono responsabili da soli del 40% dell’impronta globale. In Europa l’unica Nazione che riesce a rientrare nei limiti del pianeta è la Repubblica Moldava, mentre quelli che hanno l’impronta più leggera in assoluto e chiudono la classifica sono Bangladesh, Afghanistan e Timor-Est.

Quest’anno, per la prima volta, il Living Planet Report 2010 ha incrociato gli indici della perdita di biodiversità e dell’impronta ecologica con i redditi dei singoli Paesi, dimostrando come quelli più ricchi abbiano almeno 5 volte un impatto sul pianeta superiore dei Paesi a basso reddito che subiscono nei quali però le specie si riducono sempre di più. In pratica è stato confutato con i numeri ciò che sappiamo da tempo: i consumi dei Paesi ricchi dipendono dallo sfruttamento delle risorse di quelli più poveri.

La cosa che però emerge dal rapporto è che si può avere un alto livello di sviluppo senza necessariamente avere una maggiore impronta ecologica. Ne è l’esempio il Perù che con un’impronta ecologica in linea con la capacità del Pianeta (1,5 pro-capite) e un Indice di sviluppo umano di 0,86, rientra perfettamente nei parametri di reddito, vita e livello di educazione stabiliti dall’Onu.

I Paesi che mantengono alti livelli di dipendenza dalle risorse naturali stanno mettendo in pericolo le loro stesse economie – ha affermato Mathis Wackernagel, presidente del Global Footprint NetworkI Paesi che riescono a garantire la migliore qualità di vita con la minore pressione sulla natura non solo aiuteranno gli interessi globali, ma saranno leader in un mondo dalle risorse sempre più ristrette.

Una situazione questa aggravata dalle previsioni di crescita della popolazione: nel 2050 saremo più di 9 miliardi di abitanti e se non si corre presto ai ripari il collasso del Pianeta è assicurato. Per questo il WWF ha elaborato un decalogo per il futuro sostenibile e la green economy in cui tutti noi possiamo contribuire attivamente attraverso le nostre scelte quotidiani nella dieta e nei consumi di energia. Ma urgono dall’alto anche altre scelte come ad esempio l’elaborazione di nuovi indicatori di sviluppo, l’aumento delle aree protette e degli accordi internazionali per la distribuzione equa delle risorse.

La sfida posta dal Living Planet report è chiara – conclude Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia – Dobbiamo trovare un modo per soddisfare le esigenze di una popolazione sempre più numerosa che incrementa i propri consumi. Dobbiamo imparare a vivere nei limiti delle risorse dell’unico pianeta che abbiamo e per fare questo chi ha uno stile di vita consumista deve limitare consumi e sprechi”.

Dal canto nostro se vogliamo calcolare già da ora la nostra impronta sulla terra e fare una spesa “a prova di CO2”, il WWF ha elaborato due applicazioni interattive su www.improntawwf.it e su www.wwf.it/imprese.

Anche perché la cosa che non bisogna mai dimenticare è che noi di Terra ne abbiamo una sola e ce la dobbiamo far bastare. A noi, ai nostri figli e alle generazioni che verranno.

Scarica il Living Planet Report 2010 in pdf

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