La battaglia delle certificazioni forestali: FSC vs PEFC. La guida di Greenpeace solo operazione di marketing?

Pefc Italia critica la guida Foreste a rotoli di Greenpeace che penalizzerebbe le aziende che hanno scelto la certificazione PEFC invece che FSC. Si accendono le polemiche

La scorsa settimana, ricorderete, Greenpeace ha pubblicato la guida verde “Foreste a rotoli” per l’acquisto responsabile di carta igienica, rotoloni, tovaglioli e fazzoletti usa e getta in cui l’associazione dopo aver valutato più di 200 prodotti di circa 30 aziende ha stilato una sorta di classifica dei produttori amici delle foreste in base alle percentuali di fibra riciclata e certificata FSC (Forest Stewardship Council) utilizzata, oltre che informazioni sul processo di sbiancamento attraverso l’uso di composti a base di cloro.

Per Greenpeace, solo 5 prodotti sono risultati completamente virtuosi in quanto riciclati al 100%, mentre l’80% delle aziende non ha neppure raggiunto la sufficienza. La campagna “Foreste a rotoli”, lanciata attraverso un bel video che ha come protagonista l’attrice Barbara Tabita, è stata però criticata pesantemente da PEFC Italia, l’altro schema di certificazione internazionale delle foreste, accusando Greenpeace di penalizzare nella loro classifica le aziende che all’FSC hanno preferito certificarsi PEFC.

Si presenta come un rapporto super partes destinato a smascherare le imprese che non utilizzano carta riciclata e danneggiano le foreste. In realtà l’Eco-Guida “Foreste a rotoli” presentata da Greenpeace è solo una sordida operazione di marketing. Un enorme spot pubblicitario in favore dello schema di certificazione Fsc, nel quale l’associazione ambientalista è direttamente coinvolta, e delle aziende che lo scelgono. Un mezzo per drogare il mercato e ricattare le imprese del settore”.

Questo il durissimo commento in una nota di Antonio Brunori, segretario generale del Pefc Italia che oltre a criticare i criteri utilizzati da Greenpeace per redigere la classifica delle aziende “virtuose” dell’industria cartaria italiana vuole riportare la discussione sul reale problema, quello di “aumentare il numero prodotti cartari provenienti da foreste gestite in modo sostenibile”.

Insomma, come dire, inutile farsi la guerra visto che l’obiettivo della salvaguardia delle foreste è comune. Ma allora perché questa contrapposizione?

Al mondo esistono due schemi internazionali di certificazione dell’origine sostenibile della cellulosa e della carta riciclata. Il più diffuso a livello mondiale è il PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes). L’altro è l’FSC (Forest Stewardship Council) , nel quale opera attivamente la stessa Greenpeace, figurando tra i membri del consiglio direttivo.

L’equivalenza dei due schemi di certificazione è stata ribadita sia dal Parlamento Europeo (risoluzione INI/2005/2054 approvata il 16.2.2006) che riconosce Pefc e FSC come “ugualmente in grado di fornire garanzia al consumatore che i prodotti certificati a base di legno e carta derivino da gestioni forestali sostenibili”, sia dal Ministero dell’Ambiente (con il Dm n. 111/09), ma anche da Assocarta e dal Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali (CONAF).

Da qui la rivendicazione di Brunori che accusa Greenpeace di non prendere in considerazione l’eguale valore dei due schemi “elevandosi al di sopra” e assegnando i voti peggiori alle aziende che utilizzano carta certificata Pefc per i loro prodotti.

In poche parole – commenta Brunori – con l’ecoguida, Greenpeace, in modo parziale e assolutamente autoreferenziale, fa credere che i prodotti migliori siano quelli che hanno il marchio FSC, non assegnando la sufficienza a nessuna delle aziende che, pur utilizzando fibra certificata per l’origine sostenibile, non hanno il marchio da loro promosso ma l’alternativo PEFC. Così facendo produce un clamoroso paradosso: suggerisce ai giornalisti e, attraverso di loro,all’opinione pubblica un elenco di “cattivi” privo di alcuna motivazione tecnica o scientifica”.

A queste parole replica immediatamente Greenpeace in un comunicato stampa in cui ci tiene a precisare la sua posizione: “Sostenere che Greenpeace promuova il marchio FSC (Forest Stewardship Council) facendo una sordida operazione di marketing è un errore grossolano che non ci aspettavamo da un organismo di certificazione come il PEFC. Greenpeace è un’organizzazione indipendente che non promuove marchi, ma politiche virtuose” afferma Chiara Campione, responsabile della campagna Foreste di Greenpeace.

Secondo l’associazione la guida “Foreste a rotoli” per l’acquisto responsabile di carta igienica, rotoloni, tovaglioli e fazzoletti usa e getta oltre alle fibre riciclate, ha valutato positivamente anche quelle certificate FSC perché al momento ”l’unica certificazione che fornisca garanzie su altissimi livelli di sostenibilità per i prodotti di origine forestale”. “Monitoriamo costantemente il processo di miglioramento degli standard PEFC e non escludiamo, anzi ci auguriamo – continua Campione -, che questa certificazione riesca a darci le stesse garanzie del FSC. Al momento attuale non è così”.

Ma perché se il resto degli organismi internazionali le equiparano senza distinzione? Una delle accuse che rivolge l’organizzazione al Pefc è quella di certificare anche i prodotti APP, considerata dalle più importanti associazioni ambientaliste, Greenpeace in primis, una delle peggiori minacce per la tutela delle ultime foreste torbiere indonesiane.

FSC si è dissociata da APP già nel 2007. Quando PEFC farà lo stesso?” conclude nel comunicato la Campione.

La risposta non tarda ad arrivare, proprio dalle nostre pagine, nel commento lasciato alla notizia direttamente da Antonio Brunori: “PEFC è un organismo normatore, come la ISO, specificamente per il settore forestale. Quindi le affermazioni di Chiara Campione sono un esempio di disinformazione: PEFC non certifica, quindi non può prendere le distanze da una azienda che è stata certificata da un organismo di certificazione (che nello specifico è lo stesso che opera per la certificazione FSC). Piuttosto, è bene saperlo, le famose piantagioni di APP erano certificate secondo le regole di FSC quando nel 2007, dietro proteste proprio di Greenpeace e di altre ONG, fu revocato il certificato. Piuttosto è bene sapere che la APP ha ottenuto un certificato di tracciabilità per le carte che contengono fibre provenienti da piantagioni che sono certificate PEFC in Cile e in Canada. Quindi con nessun collegamento con le foreste indonesiane incriminate, quelle che una volta erano FSC. Per il resto, ci auguriamo che Greenpeace passi dalle parole ai fatti nel riconoscere la validità dello schema PEFC, senza ideologie di parte”.

Queste, dunque, le rispettive posizioni, a voi le conclusioni, anche se noi a prescindere dalla bagarre, personalmente ci troviamo d’accordo con l’ultima affermazione fatta da Brunori perché mentre si consuma questa lotta a scapito degli schemi di certificazione concorrenti si perde di vista l’obiettivo comune di aumentare le aree forestali gestite in modo sostenibile:

La cosa sconvolgente – conclude Brunori – è che purtroppo solo il 10% delle foreste nel mondo sono certificate (2/3 dal Pefc e 1/3 dall’Fsc). C’è quindi ancora tantissimo da fare e sono ancora poche le aziende virtuose che scelgono i propri fornitori con fibra provenienti da boschi certificati

Ma l’unione non dovrebbe fare la forza?

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