Un interessante studio scientifico rivela che i popoli indigeni svolgono un ruolo chiave nella salvaguardia delle foreste pluviali dell'Amazzonia (e ci offrono una grande lezione!)
Da secoli le popolazioni indigene sono custodi delle foreste amazzoniche. E molto probabilmente nessuno sarebbe in grado di prendersene cura come fanno loro. A confermarlo è uno studio pubblicato un paio di anni fa sulla rivista Proceeding of the National Academy of Science, che rivela come una regione della foresta pluviale dell’Amazzonia occidentale sia rimasta praticamente inalterata nel corso di ben 5 millenni, nonostante gli insediamenti umani.
I nostri dati supportano ricerche precedenti che indicano che aree considerevoli di alcune foreste amazzoniche non sono state significativamente influenzate dalle attività umane durante l’era preistorica. – si legge nella ricerca – Piuttosto, sembra che negli ultimi 5.000 anni le popolazioni indigene di questa regione abbiano coesistito con, e abbiano contribuito a mantenere vaste distese di foreste relativamente non alterate, come continuano a fare oggi.
Insomma, in altre parole potremmo dire che i nativi della regione amazzonica sanno bene come vivere in maniera sostenibile. Per scoprirlo, i ricercatori hanno analizzato il terreno e le piante di tre aree diverse del territorio nord-orientale del Perù. I terreni su cui si sono focalizzati si trovano tutti a a circa 1 chilometro di distanza dai corsi fluviali e dalle pianure alluvionali, note agli esperti come zone interfluviali.
“La foresta interfluviale comprende oltre il 90% della superficie dell’Amazzonia ed è quindi di fondamentale importanza per determinare l’estensione dell’influenza indigena sul territorio perché la maggior parte dei principali insediamenti identificati dagli archeologi finora sono vicini ai fiumi” spiegano gli studiosi.
I dettagli dello studio
Per andare più a fondo nella questione e avere più informazioni riguardo all’impatto dell’uomo sulle foreste, il team guidato dall’antropologa Dolores Piperno delloSmithsonian National Museum of Natural History hanno esaminato i fitoliti, antiche particelle microfossili di piante morte ed è andato alla ricerca di tracce di fuoco, come carbone o fuliggine, segnale inconfutabile della presenza umana.
E ciò che hanno scoperto è davvero sorprendente.
“Non abbiamo trovato prove di piante coltivate o di agricoltura taglia e brucia; nessuna traccia di disboscamento o di realizzazione di giardini forestali. – commenta la dottoressa Piperno – Questi dati sono molto simili ai risultati di altre regioni dell’Amazzonia. Ora abbiamo una notevole quantità di prove che nella preistoria non si sono verificate importanti alterazioni nella foresta nelle aree interfluviali dell’Amazzonia non si sono verificate nella preistoria.”
La lezione che tutti dovremmo imparare dai popoli indigeni
Come già detto, nell’area della foresta amazzonica oggetto di indagine la biodiversità è stata preservata in maniera eccezionale.
Si tratta di un ecosistema della foresta pluviale che è rimasto relativamente stabile per migliaia di anni ed è molto simile a quelli che si trovano ancora oggi in regioni altrettanto inalterate” – chiariscono gli studiosi – Ciò significa che ecologi, scienziati del suolo e climatologi che cercano di comprendere le dinamiche ecologiche di questa regione e la capacità di stoccare carbonio possono essere certi che stanno analizzando foreste che non sono state pesantemente modificate dalla presenza dell’uomo.
I dati emersi non indicano che le popolazioni indigene non hanno sfruttato in nessun modo le foreste, ma piuttosto che lo hanno fatto sempre in maniera ecosostenibile e svolgono un ruolo chiave nella protezione di questi ecosistemi.
Questo nuovo studio non fornisce, quindi, soltanto una serie informazioni interessanti sullo stato di conservazione delle foreste pluviali, ma ci ricorda che dovremmo imparare dai popoli indigeni cos’è davvero il rispetto per la natura.
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Fonte: Proceeding of the National Academy of Science/Smithsonian National Museum of Natural History
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