Habitat animali: i 6 maggiori ecosistemi in pericolo

Abbiamo pensato di dare un’occhiata a che cosa mette in pericolo alcuni degli ecosistemi più ricchi del globo ed i loro abitanti, ed ecco che cosa abbiamo scoperto.

Delle ci siamo occupati già molte volte, ma purtroppo la lista non si esaurisce mai, ed nel complicatissimo gioco degli equilibri naturali è spesso difficile isolare le vere cause della perdita di biodiversità a livello globale. Quali sono infatti le ragioni che mettono in pericolo la sopravvivenza di ogni singola specie? Moltissime e spesso insospettabili in quanto generate da una serie di effetti a catena a cui non si pensa se non di fronte al danno compiuto. E quali sono gli effetti a lungo termine della scomparsa di ogni singola specie? Anche in questo caso, moltissimi e spesso inaspettati.

Abbiamo pensato di dare un’occhiata a che cosa mette in pericolo alcuni degli ecosistemi più ricchi del globo ed i loro abitanti, ed ecco che cosa abbiamo scoperto.

1. Golfo del Messico

lamantini

Le acque del Golfo del Messico, già tristemente noto per l’ecatombe recentemente provocata dalla marea nera, hanno subito negli ultimi anni un modesto raffreddamento: per questo motivo i lamantini (grandi mammiferi noti anche come “mucche di mare”) che popolano il golfo si sono rifugiati in cerca di calore nelle zone dove vengono rilasciate le acque reflue dei grandi impianti elettrici. Come riporta la BBC in questo servizio, questi mammiferi sono molto sensibili ai mutamenti di temperatura, in quanto il freddo indebolisce il loro sistema immunitario e anche una modesta variazione può essere loro fatale: con il passare del tempo pare che i lamantini siano diventati dipendenti da queste fonti innaturali di calore, tanto da non migrare più stagionalmente verso zone più calde – com’era invece loro abitudine. Dal momento che ultimamente molte centrali elettriche stanno interrompendo la propria attività, sarà necessario trovare un modo per garantire comunque la sopravvivenza di questi animali, le cui abitudini sono state artificialmente stravolte, con conseguenze difficilmente ipotizzabili.

2. Africa centrale

gorilla

In Africa centrale troviamo un habitat che versa in una situazione a dir poco critica: è in questa regione vivono i gorilla di montagna, una specie scoperta nel 1902 nella catena vulcanica del Virunga. Queste montagne si estendono dal Congo al Ruanda e sono fittamente ricoperte da una rigogliosa vegetazione tropicale: è qui che si ritrovano a sopravvivere a stento gli ultimi esamplari di questa specie, in una zona martoriata dalla distruzione ambientale e dalle guerre interne. La progressiva scomparsa di queste scimmie antropomorfe deve farci meditare: nel corso degli anni le foreste sono state decimate per ottenere legno e bambù, moltissimi gorilla sono morti per malattie contratte tramite gli uomini o uccisi da bracconieri. Ma anche le guerre intestine hanno segnato irrimediabilmente il territorio, e sapete qual è uno dei motivi per cui in quell’area imperversano i conflitti? Come spiega in dettaglio questo articolo, un motivo è lo sfruttamento intensivo delle miniere, la cui preziosità risiede nella diffusissima applicazione dei minerali ivi estratti nei gadget che usiamo tutti molto comunemente: iPod, gioielli, telefonini, macchine fotografiche, computer.

3. La Grande Barriera corallina

barriera corallina

La Grande Barriera corallina, situata nell’Australia nord-orientale e composta da miliardi di minuscoli polipi del corallo, è un altro ecosistema fortemente a rischio. Il progressivo depauperamento biologico di questa meraviglia (che dal 1981 fa parte del Patrimonio dell’Umanità UNESCO) dipende non solamente dai mutamenti climatici, ma anche e soprattutto dall’impatto di attività umane più dirette, quali il turismo di massa e l’inquinamento delle acque derivante dall’utilizzo intensivo di pesticidi, fertilizzanti, petrolio e moltissimi altri agenti inquinanti. L’inquinamento delle acque è inoltre una importante concausa dello sbiancamento dei coralli, un fenomeno naturale che se perpetuato nel tempo porta alla morte del corallo. La progressiva scomparsa della Grande Barriera australiana rischia di compromettere a catena anche le zone circostanti, portando alla morte pesci ed invertebrati che sopravvivono solo grazie ad essa.

4. Golfo di Aden

tartarughe marine

Un altro ecosistema fortemente compromesso è quello del Golfo di Aden, le cui acque cristalline sono solcate dalle barche dei pirati somali in superficie, ma pullulanti di vita in profondità: immergendosi si incontrano coralli, una rarissima specie di pesce farfalla (che vive solo in queste acque e nel Mar Rosso), e migliaia di splendide tartarughe marine: a quanto pare le tartarughe femmine infatti depongono le uova nel sud dello Yemen e nuotano poi per ben 2000 chilometri per raggiungere questo golfo. Ora, le coste comprese tra la Somalia, lo Yemen, il Gibuti e l’Eritrea sono molto pericolose in quanto la loro difficile conformazione rallenta la navigazione delle navi, favorendo gli attacchi dei pirati. La pirateria è un fenomeno nato sostanzialmente dal disagio sociale e dal malcontento della popolazione costiera somala, impoverita dalla pesca illegale di tonno che altri paesi hanno condotto per decenni nelle acque del Golfo di Aden ed esasperata dall’inquinamento delle imbarcazioni mercantili straniere. Le azioni dei pirati però, oltre a rendere ostica la navigazione in quei mari, costituiscono un pericolo aggiunto anche per l’ecosistema marino: spesso i colpi di armi da fuoco colpiscono infatti le cisterne di greggio delle navi, con conseguenze disastrose facilmente intuibili.

5. Foreste di Sumatra

oranghi

Passiamo all’Indonesia. Le operazioni di disboscamento delle foreste indonesiane e la domanda globale di olio di palma hanno drasticamente ridotto lo spazio a disposizione per gli oranghi tipici di quest’area: un rapporto di Greenpeace ed un celebre video avevano già messo in luce come grandi multinazionali quali la Nestlé dipendano strettamente dall’olio di palma prodotto in Indonesia e contribuiscano pertanto alla distruzione di questo ecosistema ed alla scomparsa degli oranghi. Inoltre, non dimentichiamoci che anche la vita della popolazione in questa zona è intimamente legata alla foresta ed alle forme di vita che ospita: la sua progressiva distruzione è inevitabilmente foriera di conflitti sociali e di stravolgimenti su larga scala.

6. Madagascar

madagascar

Infine, veniamo ad uno dei paradisi della biodiversità, il Madagascar, un isola a 430 chilometri dalle coste orientali africane che pullula di biodiversità a causa della sua particolarissima storia: 160 milioni di anni fa si separò infatti dal continente indiano e da allora è rimasta circondata dall’Oceano; le specie, rimaste totalmente isolate, si sono pertanto evolute in maniera originalissima. Pensate che il 90% delle sue specie vegetali ed il 70% di quelle animali sono endemiche, esistono cioè solo lì. Anche sul Madagascar e sulle creature uniche che lo popolano incombono – inutile dirlo – gravi minacce. Non solo da quando è arrivato l’uomo, circa duemila anni fa, la superficie forestale si è ridotta del 90% (!!!) , ma permangono la diffusa pratica della caccia, l’introduzione sul territorio di specie estranee all’ecosistema e pertanto destabilizzanti per il suo equilibrio, nonché la numerosa presenza di bracconieri e l’instabilità politica.

In sintesi, ogni luogo nasconde equilibri fragili e particolari, messi in pericolo certamente dai mutamenti climatici, dell’inquinamento, della deforestazione e della caccia, ma anche da scelte politiche e personali apparentemente lontane, che scatenano in realtà insospettabili effetti domino.

Prima di alterare irrimediabilmente il fragile equilibrio su cui poggia la nostra Terra dovremmo forse fermarci a riflettere e riappropriarci quantomeno della consapevolezza che ogni nostra azione, anche quella apparentemente più innocua, può avere un peso.

S.Z.

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