8.000 delegati, 193 paesi, 10 giorni di lavoro e un solo obiettivo: salvaguardare la biodiversità. Sono queste le premesse della X° Conferenza delle Parti sulla Convenzione per la Biodiversità (Cop-10) che si apre oggi a Nagoya – Giappone – e che durerà fino al prossimo 29 ottobre.
8.000 delegati, 193 paesi, 10 giorni di lavoro e un solo obiettivo: salvaguardare la biodiversità. Sono queste le premesse della X° Conferenza delle Parti sulla Convenzione per la Biodiversità (Cop-10) che si apre oggi a Nagoya – Giappone – e che durerà fino al prossimo 29 ottobre.
Il vertice, non a caso, arriva alla fine del 2010, dichiarato Anno internazionale della biodiversità dalle Nazioni Unite. E altrettanto significativo è il paese ospitante, il Giappone, che, nonostante le pressioni di opinione pubblica e associazioni ambientaliste, persevera nella caccia indiscriminata di balene e delfini (a scopo alimentare/ludico), spesso sotto mentite spoglie (ricerca scientifica in primis).
Ma ad essere colpevoli, inutile dirlo, sono tutti i partecipanti, Italia compresa. Secondo il WWF infatti, a livello globale il Living Planet Index – un indice che misura lo stato di salute della biodiversità – dal 1970 ad oggi è calato di circa il 30%, con punte del 60% ai tropici. Inoltre, sono quasi tutti concordi nel ritenere che l’umanità stia consumando più risorse di quante il pianeta ne possa produrre (v. ad esempio l’Earth Overshoot Day), siano esse foreste, oceani o altro. Insomma, il drammatico calo della biodiversità è strettamente connesso a ciascuna delle principali problematiche del nuovo millennio, dal consumo del territorio alla deforestazione, dalla pesca selvaggia al mercato nero di specie a rischio estinzione, dalla violazione dei diritti delle comunità indigene al prelievo illegale di acqua dolce… ai delegati giunti a Nagoya spetta dunque un compito difficilissimo.
Non si tratterà solo di rinnovare la stessa Convenzione per la biodiversità adottata dai 193 paesi partecipanti – che, per la cronaca, avrebbe dovuto ridurre “in modo significativo” il tasso di perdita della biodiversità entro quest’anno (tasso che, al contrario, continua ad aumentare) – ma anche di preparare il terreno per la Conferenza sul clima di Cancun, di regolamentare l’uso delle risorse ittiche di mari e oceani (secondo il WWF la flotta mondiale, ad oggi, ha un potenziale due volte e mezzo superiore alle capacità rigenerative delle risorse ittiche stesse), e via dicendo – il tutto, come sempre, con il fiato sul collo delle principali associazioni ambientaliste.
E l’Italia? Come sempre (o quasi) partiamo con le migliori intenzioni, arrivando a Nagoya freschi freschi di accordo: si tratta della Strategia nazionale per la biodiversità, predisposta dal Ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo l’8 ottobre scorso e approvata dalla Conferenza Stato-Regione. Il documento analizza il problema della perdita di biodiversità attraverso tre macro sezioni (servizi per gli ecosistemi, cambiamenti climatici e politiche economiche), individua 15 aree di lavoro (specie, habitat, paesaggio, risorse genetiche, agricoltura, foreste, fiumi e laghi, mare, infrastrutture e trasporti, città, salute, energia, turismo, ricerca e innovazione, educazione e informazione) e predispone l’istituzione di un Osservatorio nazionale sulla biodiversità e di un Tavolo di consultazione.
Le buone intenzioni non mancano, e da parte sua il Giappone ha addirittura reso noto, pochi giorni fa, lo slogan del meeting: “Life in harmony, into the future”. La speranza è che ora, dalle parole, si passi ai fatti. “Once and for all”, magari.
Roberto Zambon
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