La popolazione di balene grigie occidentali è in lenta ripresa. Frutto dell'intenso lavoro che negli anni le ONG hanno operato sulle banche che finanziano le trivellazioni vicino a Sakhalin in Russia, a nord del Giappone.
Goodnews! La popolazione di balene grigie occidentali è in lenta ripresa. Certo, qui dove vivono, nelle acque antistanti l’isola di Sakhalin, nell’estremo oriente russo in cui si trovano i maggiori giacimenti mondiali di petrolio e gas, c’è ancora tanto da fare, ma gli animalisti segnano un’importante vittoria e un punto a loro favore a dispetto delle compagnie petrolifere e delle banche.
È quanto emerge dal rapporto congiunto “Stories of influence” presentato da International union for conservation for nature (Iucn), Wwf e International fund for animal welfare (Ifaw) al World conservation congress Iucn in corso alle Hawaii.
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Una cosa sia chiara e sia da premessa: Sakhalin Energy, una delle più importanti compagnie che operano in quell’area e il cui principale azionista è Shell, è ancora lì, viva e vegeta, ma le associazioni animaliste le hanno dato negli anni del filo da torcere e un po’ di compromessi li ha dovuti accettare. Ma andiamo con ordine.
La storia è questa: lì, sulla costa nord-orientale di Sakhalin, sulle acque ghiacciate del Nord del Pacifico, emerge Sakhalin-2, una delle più grandi infrastrutture di estrazione di petrolio e gas del mondo. È stato questo il teatro di una delle più grandi lotte ambientaliste della storia: la lotta per salvare le ultime 115 balene grigie occidentali che si contavano nel 2004, minacciate mortalmente dal rumore subacqueo, da collisioni con navi e da attrezzi da pesca. Tanto che nel 2003 le balene grigie sono state indicate come a rischio di estinzione nella lista Rossa dell’Iucn delle specie minacciate.
Il nemico da battere era, ovviamente, la Shell, la principale azionista di Sakhalin Energy, la società che all’inizio del 2000 ha annunciato un progetto di 20mila milioni di dollari per espandere le sue strutture con due nuove piattaforme nelle acque Sakhalin e un oleodotto sottomarino. Ma Shell fece allora orecchie da mercante alle critiche da parte delle organizzazioni ambientali. Il progetto potrebbe essere l’ultima goccia per le balene grigie amichevoli.
Fu allora che si cambiò strategia. Di fondo c’è stata la costante lotta delle associazioni ecologiste e animaliste: 146 ONG provenienti da 22 Paesi hanno indirizzato la propria protesta contro le banche che avrebbero finanziato i lavori, soprattutto la BNP Paribas e la Credit Suisse (ma ci sono anche l’inglese Standard Chartered, le tre giapponesi Tokyo-Mitsubishi UFJ, Sumitomo Mitsui Banking Corporation e Mizuho Bank e la Banca giapponese di Cooperazione Internazionale.
In più, la Sakhalin Energy è stata sollecitata da quelle stesse banche – timorose di perdere la faccia – a fare affidamento al Western Gray Whale Advisory Panel (Wgwap), un gruppo indipendente di scienziati che fa a sua volta riferimento all’Iucn e che gli “consiglia” per le sue operazioni in mare aperto. In questo modo, avrebbe limitato l’impatto delle sue trivellazioni sulle balene e su tutto l’ambiente.
Il risultato fu, cioè, che quelle banche, vedendo in pericolo la propria immagine, avrebbero finanziato la Shell solo se questa si sarebbe fatta assistere da esperti in materia ambientale.
E così è stato: gli esperti, guidati dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), hanno imposto il ridisegno del nuovo gasdotto, spostandolo a 20 chilometri a sud, lontano dalle zone di alimentazione delle balene. In più hanno sviluppato un piano di mitigazione del rumore generato dalle indagini sismiche di petrolio utilizzate per la ricerca di idrocarburi. Shell ha accettato il 90% delle 539 raccomandazioni degli esperti indipendenti.
Risultato? La popolazione di balene grigie occidentali è aumentata del 3 – 4% tutti gli anni, passando da quei 115 esemplari del 2004 a 174 nel 2015.
Un contentino laddove le trivellazioni continuano? Può anche essere, tanto che Wendy Elliott del Wwfparla di “fragile successo” e della difficoltà di un cambiamento di atteggiamento da parte di altri operatori del settore petrolifero. E sulle sue parole fa proprio ombra la Exxon Neftegas Limited, una filiale della compagnia petrolifera statunitense ExxonMobil che ha iniziato la costruzione di una nuova darsena nella zona, come parte della espansione del suo Sakhalin1, progetto di estrazione di gas e petrolio. Il gruppo di esperti indipendenti guidati da IUCN ha già riportato un aumento dei livelli di rumore di chiatte e rimorchiatori e la storia ricomincia…
“Tutti gli operatori del petrolio nella zona dovrebbero accettare le raccomandazioni degli esperti indipendenti. ExxonMobil non ha bisogno di un nuovo bacino di Sakhalin. È una vergogna“, ha condannato la Elliott.
Quello che ci si augura, insomma, è che le istituzioni finanziarie prendano esempio da questa storia di successo e impongano severe condizioni ambientali per i progetti che possono avere un impatto negativo sulle specie minacciate da qui a venire. Per tutti e indistintamente.
Germana Carillo