Il 2018 è finito e magari abbiamo qualche rimpianto (o forse dolore) personale. Ma, analizzando il 2018 da un punto di vista “globale” non può dirsi terribile come l’ “anno più brutto della storia”, come è stato definito il 536 d.C. dallo storico medievale Michael McCormick, in quanto un anno praticamente senza Sole.
Il 2018 è finito e magari abbiamo qualche rimpianto (o forse dolore) personale. Ma, analizzando il 2018 da un punto di vista “globale” non può dirsi terribile come l’ “anno più brutto della storia”, come è stato definito il 536 d.C. dallo storico medievale Michael McCormick, in quanto un anno praticamente senza Sole.
Difficile immaginare la nostra vita senza la nostra stella, anzi la vita come la conosciamo noi sarebbe proprio impossibile. Eppure ci sono popolazioni che ne godono molto poco, quelle dell’estremo Nord e quelle dell’estremo Sud della Terra. E nel 536 d.C. c’era ma non si vedeva, a causa di una fitta coltre di foschia che copriva Europa, Medio Oriente e parte dell’Asia.
Il Sole in realtà c’era ed era anche visibile (con difficoltà), ma il calore e lo splendore di cui abbiamo bisogno anche psicologicamente è mancato per ben 18 mesi, che ha provocato un ripido crollo delle temperature, dando il via al decennio più freddo degli ultimi 2.300 anni.
La causa? Un’analisi meticolosa del ghiaccio preso da un ghiacciaio svizzero condotta presso il Climate Change Institute dell’Università del Maine (UM) di Orono (Usa) ha dimostrato che in quell’anno è avvenuta una terribile eruzione vulcanica in Islanda, che ha riversato cenere su tutto l’emisfero settentrionale.
La ricerca ha poi individuato anche altre due massicce eruzioni, nel 540 e nel 547, che, seguiti da un’epidemia di peste, trascinarono l’Europa in uno “stallo economico” che durò fino al 640, quando un altro segnale nel ghiaccio, ovvero un picco in piombo, segna una ripresa dell’estrazione dell’argento.
L’eruzione di un vulcano in Islanda non è, tra l’altro, qualcosa di così lontano da noi e dalla nostra esperienza. Nel 2010, infatti, un simile evento, tra l’altro ripetuto che ha coinvolto il vulcano Eyjafjöll, colpì il nostro continente, causando seri problemi alla navigazione aerea e paralizzando completamente il traffico fino al 23 aprile, con altre chiusure a intermittenza degli aeroporti del Nord Europa fino al 9 maggio. E con certe, anche se non definite, ripercussioni sul clima.
Nel 2014, poi, altre coltri di “nebbia” invasero per lo stesso motivo l’Europa, stavolta a causa del vulcano Bardarbunga. Per non parlare di Katla, il vulcano subglaciale islandese che fa paura al mondo a causa di forti emissioni di anidride carbonica rivelate proprio lo scorso settembre.
Nulla di così “strano” dunque, anche se 18 mesi di foschia sono state effettivamente un record di buio che non ci auguriamo ritorni.
Il lavoro è stato pubblicato su Antiquity.
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Roberta De Carolis